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L’amore secondo Dalva

2022
Titolo Originale:
Dalva
REGIA:
Emmanuelle Nicot
CAST:
Zelda Sansone (Dalva)
Alexis Manenti (Jayden)
Fanta Guirassy (Samia)

Il nostro giudizio

L’amore secondo Dalva è un film del 2022, diretto da Emmanuelle Nicot.

Nel bellissimo romanzo Libertà per gli orsi di John Irving uno dei protagonisti apre la gabbia degli animali nello zoo di Vienna, ma questi non accennano a scappare: “Siete liberi di andarvene”, gridai, “perché non ve ne andate?”. Nel film Room di Lenny Abrahamson, allo stesso modo, il piccolo Jacob Tremblay che ha sempre vissuto in una stanza non vuole uscire dalla room, ovvero dal solo spazio che conosce. Dall’unico mondo possibile. Con un simile rifiuto del movimento, ma ancora più drammatico, conosciamo Dalva nell’esordio al lungometraggio della regista Emmanuelle Nicot, classe 1985: nell’incipit la ragazzina viene sottratta al padre a colpi di camera mossa, in una sequenza concitata, in cui la piccola urla e si infuria rifiutando di separarsi dal genitore. Dalva è una bambina abusata. Dodici anni, si veste e trucca come una donna, ma non per una generale precocità, bensì perché è stata rapita dal padre aguzzino con il quale intrattiene rapporti sessuali convinta di avere con lui una storia d’amore, di essere la sua fidanzata. “Una figlia non può amare suo padre?”, si chiede. Quando lo incontra in carcere indossa per lui un vestito seducente.

Già questo basta per suggerire il coraggio di partenza e l’operazione peculiare condotta ne L’amore secondo Dalva, che arriva nelle sale italiane grazie a Teodora. Tutto nasce da un’esperienza realmente vissuta dalla regista Nicot, che per girare il precedente corto À l’arraché ha trascorso tempo in una struttura di accoglienza per ragazzini: i minori vittime di abusi, ricorda, “continuavano in ogni caso a stare dalla parte della famiglia, sostenendo che il sistema giudiziario sbagliasse a tenerli lì”. Questo il principio, la base attorno alla quale edificare il film. Poi ecco la costruzione della figura di Dalva, con la felice scelta di casting di Zelda Samson, giovane attrice con profonda consapevolezza di sé e che sembra più grande della sua età, proprio come richiesto. Dalva viene affidata agli assistenti sociali ma non esce dalla gabbia, anzi continua a sostenere la sua prospettiva, l’unica possibile: il gesto potente del racconto è renderla in focalizzazione interna. Non abbiamo cioè l’ovvia condanna per il crimine, che nella maggioranza dei casi verrebbe pronunciata dal mondo intorno, ma qui aderiamo scientificamente allo sguardo di Dalva. È con lei che percorriamo la vicenda negli angoli oscuri, nelle curve più aspre e impensabili, come quando tenta di spogliare l’assistente che la abbraccia, conoscendo solo il linguaggio del corpo; una strada che passa per la graduale, lenta e dolorosa erosione della proprie convinzioni per arrivare con fatica a una nuova consapevolezza, in grado di stabilire cosa è giusto o sbagliato, perché una dodicenne non può essere la donna di suo padre.

Così si innesca un movimento inverso rispetto a quello del tradizionale coming of age, ossia Dalva impara a tornare bambina, ad essere giovane davvero, ad aderire alla sua età anagrafica attraverso segni grafici decisivi, come la rinuncia al rossetto e il cambio dei capelli. Intanto la contingenza la porta a confrontarsi con la dura realtà di un centro spietato, governato da violenza e bullismo come inevitabile visto il contesto di provenienza. Poi, però, anche questo luogo diventa più accogliente e offre un’ipotesi di amicizia, raffigurata in una ragazza nera sottratta alla madre prostituta. E c’è perfino una mamma per Dalva, da coltivare forse in futuro. Dinanzi allo stile del film, l’automatismo critico lo assocerà facilmente al cinema dei fratelli Dardenne, fatto di pedinamenti e camera a spalla: ma è un riflesso pavloviano, perché la regista al contrario dei valloni non vuole costruire un dubbio etico, bensì offrire una prospettiva inedita attraverso gli occhi di una giovane abusata che pensa sia giusto così. Ed è molto diverso. L’amore secondo Dalva ha anche una missione sociale, porta con sé la sua denuncia, sacrosanta, ma ciò che resta è il disegno spiazzante di questa ragazzina, una dodicenne che dice candidamente agli assistenti sociali: “Una donna che ama deve saper fare l’amore”. Cinema forte, che sa ancora disturbare.