Last House of Dead End Street
1972
Last House of Dead End Street è un film del 1972, diretto da Roger Watkins.
Criticamente massacrato ovunque, mi sembra invece un’operazione interessante stranamente più per il come, che il cosa. D’accordo che all’epoca (che fosse il ’73 o il ’77) non era da tutti i giorni assistere a un discorso di realtà e finzione per mezzo dei meccanismi dello snuff, con tutto il relativo corollario, dalla convenzionalità cinematografica alla ricerca della “real experience”, dal metacinema all’occhio della macchina da presa e dello spettatore, dalla ricostruzione alla rappresentazione; e difatti, è innegabile che Last House of Dead End Street mantenga tuttora inalterata una curiosità teorica, molto più di uno snuff qualsiasi. Ma se la maggior parte lo definisce noioso, repellente e incompetente, a noi titilla non poco l’interesse.
E proprio in sede di messinscena. Ché, nonostante un mangia-mangia e prendi-prendi generale, grossolanità varie e certo dilettantismo, non si sottrae a qualche “preziosità” (passate il termine). Ci sono luci artificiali e fari sparati, accecanti, tutti in faccia, che forano il buio, come a indagare ciò che dovrebbe o vorrebbe restare nascosto. C’è un’aria da underground sporco e zozzo non trascurabile, tra filmetti in 8mm e festini marci, una cultura agli sgoccioli e mestieri che non producono più, ambienti snob e vuoti. Davanti a uno specchio, si svolge una scena di sesso in piedi mica male, cruda e veloce. Una scena di sgozzamento di una mucca in un mattatoio compare inaspettata, rapida e brutale. E poi la narrazione è frammentata, spezzata, con flashback e flashforward, invasioni di campo (dal filmato alla realtà) abbastanza sorprendenti per consapevolezza.
Gli interpreti fanno pietà (compreso Roger Watkins stesso, che interpreta il regista, e anche qui ci starebbe un bel discorsetto attorcigliato), e il dubbing (la pellicola non è in presa diretta) non aiuta, ma la musica secca ed essenziale – tutta tump+tump+tump – sostiene la claustrofobia dell’insieme. Nel finale, dopo aver perforato l’occhio di un poveretto con un trapano, la troupe si allontana piano, fuori scena-set-campo, POV della vittima, un sacco di watt contro: bella chiusa, suggestiva, anche se una voice-over inutile ci dice che i criminali, arrestati, dovranno scontare 999 anni in carcere. Conta poco analizzare la qualità dei trucchi gore utilizzati, modesti: è l’atmosfera intorno ad essi che resta appiccicata. Che lo si voglia o no, Last House of Dead End Street (aka The Fun House) è una delle pellicole “a tema” più volgarmente truci e buie degli anni Settanta. Ho letto in giro che, dopo la visione, qualcuno ha preferito farsi una doccia. Non aveva tutti i torti.