Le donne e l’assassino
2021
Le donne e l’assassino è un film del 2021, diretto da Mona Achache e Patricia Tourancheau.
Le donne e l’assassino racconta la storia del serial killer Guy Georges, responsabile dell’omicidio di sette donne a Parigi tra il 1991 e il 1997, attualmente condannato all’ergastolo e meglio noto come La Bestia della Bastiglia. Detto così, il documentario della regista Mona Achache e della giornalista investigativa Patricia Tourancheau può sembrare l’ennesima goccia nel mare del true crime, quel magnifico e inquietante nuovo filone inaugurato probabilmente dalla miniserie The Jinx del 2015, che negli anni ci ha regalato perle come Giù le mani dai gatti. Ma non è esattamente così. Perché, sin dal titolo, il discorso non parte dall’assassino ma dalle donne. All’inizio le donne sono due. Una è Anne Gautier, l’anziana madre di Hélène Frinking, una giovane e bella ragazza uccisa a coltellate nella sua abitazione. L’altra è Martine Monteil, la prima donna a capo dell’Anticrimine parigino che conduce le indagini. Nella prima parte il serial killer non ha volto, o meglio: non c’è neanche un serial killer. Alcune ragazze vengono massacrate in casa, ma una cosa del genere in Francia non esiste, succede solo negli Usa, d’altronde qui non c’è John Douglas a scrivere il testo seminale Mindhunter come primo profiler della storia.
È quindi Anne, la mamma, a impuntarsi: inizia a condurre un’indagine parallela sull’omicidio della figlia, conscia che solo con un colpevole potrà elaborare il lutto. Mette pressione alla questura, scende in campo direttamente, si appiglia a ogni indizio come la forma del piede dell’assassino ricavata da un’impronta di sangue. Non meno coinvolta è Martine, la poliziotta, che dispiega tutti gli uomini possibili e vede come un intralcio l’inutile inchiesta sull’incidente stradale in cui morì Lady Diana. Ed esce dall’ipocrisia della professionalità quando racconta candidamente: “Noi quelle ragazze volevamo vendicarle”. Giustizia si mescola a vendetta, è l’animo umano. Ma c’è poco da fare, dato che non esiste ancora in Francia una banca dati del DNA, anzi è in atto uno scontro tra chi vuole la mappatura del codice genetico e chi grida alla violazione della privacy. Quanto alla Scientifica del tempo e i suoi metodi primitivi, così la descrive la giornalista-segugio Patricia Tourancheau: “Erano un branco di ubriaconi e falliti, lì venivano parcheggiati i peggiori”. Insomma il killer continua a colpire.
Le donne rievocano i fatti dopo decenni, in montaggio alternato tra loro e anche con le versioni giovani di sé, nei filmati registrati all’epoca. E sempre tra loro – questo il bello – entrano in contrasto: la madre di fatto intralcia le indagini, marca stretto i poliziotti ai quali vuole sostituirsi, fino all’intervento a gamba tesa quando rivela l’esistenza del serial killer alla stampa. E tutto cambia. La polizia, ormai nella morsa, è costretta a ricorrere al DNA (“Ce ne fregammo della legalità”, Martine Monteil) e finalmente riesce a trovare un nome: Guy Georges, l’assassino. È qui che la componente femminile si apre a raggiera e arrivano altre due donne, discordi proprio come l’autorità e l’indagine privata. Sono l’accusa e la difesa di Georges, Solange e Frédérique, opposte e speculari durante il processo, sia giudiziario che mediatico. Ed è proprio il processo che queste rimettono in scena, in un reenactment davanti alla macchina da presa in cui ognuna recita la parte che ha sostenuto nella realtà. Il procedimento contro Guy Georges si ripete quindi per i nostri occhi, tra svolte e clamorosi colpi di scena: l’imputato prima nega tutto, poi… Nell’arringa finale della difesa, in barba ai codici del genere processuale, l’avvocato dichiara: “Sono qui a difendere l’indifendibile”. È una storia logica, lineare: un assassino uccide donne. Delle donne iniziano a dargli la caccia. Donne in antitesi tra loro, che alla fine trovano la sintesi e lo inchiodano. Un contrappasso inesorabile. Le donne e l’assassino è un docuthriller palpitante, amaro, che resta sottopelle.