Le origini del male
2014
Le origini del male è un film del 2014, diretto da John Pogue.
Oxford, anni Settanta. Dopo aver dedicato anni di studio a presunti fenomeni paranormali, il professor Coupland (Jared Harris) è giunto alla ragionevole conclusione che le manifestazioni dell’occulto siano in realtà proiezioni dell’inconscio umano: telecinesi, chiaroveggenza e precognizione deriverebbero così da un’alterazione della mente, da una qualche espressione della nevrosi o da non meglio precisati conflitti interni. Per convincere alcuni suoi studenti di tutto ciò, Coupland sottopone una schizofrenica autolesionista (Olivia Cooke) a una serie di esperimenti il cui fine è dimostrare che gli strani episodi di cui è stata protagonista non ubbidiscono che a leggi del tutto naturali, o comunque comprensibili in un’ottica scientifica e psicoanalitica. Purtroppo l’università taglia i fondi, e il professore dovrà trasferirsi in un’isolata magione di campagna con la supposta indemoniata e proseguire da solo le sue indagini. Ci saranno alcuni suoi pupilli a dargli man forte (Sam Claflin, Erin Richards e Rory Fleck-Byrne) ma presto la situazione finisce fuori controllo e diventi indicibili sgretoleranno le certezze di Coupland, a partire proprio dal misterioso magnetismo che comincia a legare Brian, il più sensibile della compagnia, alla pericolosa ragazza.
Dopo i risultati altalenanti di Blood Story (Let Me In, 2010) e The Woman in Black (2012), la Hammer ci riprova con un film dimesso nei toni, lugubre nelle atmosfere, perfettamente accordato nelle sonorità scricchiolanti e arrugginite di vecchie porte che si aprono senza perché. D’altronde cos’altro può succedere in un’antica dimora di campagna abitata da fantasmi, spiriti ancestrali e strane creature del paranormale? Niente, appunto, e infatti Le origini del male, la pellicola diretta da John Pogue, regista dell’ottimo Quarantena 2 e sceneggiatore della serie The Skulls, si limita a un efficace campionario di rumori distorti, boati improvvisi, oggetti che si spostano fracassandosi ovunque ci sia una superficie disponibile. Il tutto condito con le sue buone dosi di POV, nel caso specifico la macchina da presa retrò, bobine di pellicola, rulli e pizze come da tradizione, che affidata a un baldo giovane di Oxford finirà puntata con le sue sgranature settantesche in ogni anfratto senza mostrare mai nulla.
Si tratta indiscutibilmente di una specifica scelta di campo, e Le origini del male vorrebbe strappare numerosi brividi proprio giocando sulla sottrazione delle immagini, su quello che non si vede ma che si può immaginare, e questo soprattutto grazie all’équipe di fonici e montatori composta da almeno quindici tecnici, ognuno pronto a mixare suoni e frullare rumori di fondo fino a stordire lo spettatore. Pogue è un mestierante dotato e con il senso delle proporzioni, ed è proprio grazie a questa essenziale sobrietà che il film non va dritto allo stomaco, men che meno a quell’area del cervello preposta alla produzione di paura. Provate a vederlo di notte e possibilmente con un temporale furoreggiante oltre le finestre… Il modello di riferimento di Le origini del male è Paranormal Activity, inutile dirlo, anche se non mancano contaminazioni dai blockbuster stagionali come Sinister ed epigoni: si muore fuori campo, risucchiati in un dietro le quinte tra schiamazzi e urla per ragazzini, anche se la vera protagonista della pellicola resta come sempre la casa con le sue latebre misteriose, la luce che se ne va nel cuore della notte, i suoi personaggi sonnambolici e dai capelli scarmigliati che gigioneggiano tra feti mummificati e soffitte muffose. Il merito principale resta comunque tutto di Olivia Cooke, una ragazzetta che fa paura soltanto a guardarla, e che, se per metà del film grida come un’ossessa facendo venire i capelli bianchi agli sventurati che le stanno attorno, per l’altra se ne resta chiusa a chiave in una stanzetta spoglia a parlare con l’oggetto perturbante per eccellenza: una bambola. È pur sempre un film della Hammer.