L’inquilino del terzo piano
1976
L’inquilino del terzo piano è un film del 1976, diretto da Roman Polanski
Fra i tanti film che vengono a torto sottovalutati e messi da parte, anche da un punto di vista commerciale, spicca per intelligenza e raffinatezza L’inquilino del terzo piano di Roman Polanski. Tratto da un racconto lungo di Roland Topor, autore quantomeno eccentrico del panorama artistico francese (ricordiamo che Topor era anche un fine illustratore nonché drammaturgo e sceneggiatore), racconta le vicissitudini del povero Trelkowski, ebreo-polacco e mediocre impiegato, che prende in affitto un appartamento nel centro di Parigi abitato fino a qualche giorno prima da una donna, tale Simone Choule, che si è inspiegabilmente suicidata gettandosi dalla finestra. Per il povero impiegato sarà l’inizio di un incubo: i condomini cominciano ad accusarlo ingiustamente di fare chiasso la notte, i negozianti del quartiere prendono a trattarlo come fosse la sventurata Choule, l’inizio della fine è vicino: sprofonderà sempre più verso il baratro della follia cominciando egli stesso a comportarsi come Simone, a vestirsi come lei e ad essere sempre più sopraffatto dalla sua psicosi. Allucinazioni e incubi lo condurranno attraverso un gioco di specchi e scatole cinesi che lo farà soccombere. In un primo momento, il film avrebbe dovuto essere diretto dal regista inglese Jack Clayton il quale però era già impegnato sul set di Il grande Gatsby, per cui la Paramount scelse di affidare l’intero adattamento a Roman Polanski che fece del racconto di Topor l’ultimo capitolo della cosiddetta “trilogia dell’appartamento” – questa trilogia, cui fanno capo Repulsion e Rosemary’s baby, può ormai essere definita una “tetralogia” se si considera il più recente Carnage.
Il protagonista è interpretato dallo stesso Polanski che sceglie anche di doppiarsi in almeno tre versioni audio del film differenti, italiano, francese e inglese. Curiosamente, come avvenne per Per favore non mordermi sul collo, lo stesso regista non è accreditato fra gli attori principali ma solo come direttore e autore della sceneggiatura. Coprotagonisti sono l’attrice francese Isabelle Adjani, la brava Shelley Winters nel ruolo di un’ostile portinaia e Lila Kedrova (forse qualcuno la ricorderà in Il sipario strappato). La grandezza di Roman Polanski è quella di attenersi fedelmente alla trama tessuta da Topor senza però essere pedissequo: va oltre, facendo toccare con mano allo spettatore la pazzia del protagonista e arricchendo l’intera storia di citazioni e rimandi ad altri autori: un film che strizza l’occhio al genere kafkiano o pirandelliano per i continui riferimenti a temi come il doppio, l’identità ambigua, chi è veramente chi. A differenza di Rosemary’s baby, in cui non si sa bene se la povera donna sia pazza o meno, lo spettatore qui è più portato a credere alla mente degenerata del protagonista e tutto ciò che egli vede è frutto, a quanto pare, della sua psicosi ossessiva compulsiva. Tutto ciò che accade intorno a lui quasi certamente non è la realtà. Il misero Trelkowski tende a isolarsi dal mondo e a vederlo come proprio nemico, auto-condannandosi alla perdita di sé e della propria identità, precipitando in frustrazioni, non ultime quelle sessuali, così gravi da togliergli il fiato, rendendo il suo appartamento una gabbia in cui la claustrofobia lo farà soffocare e perire. Ci sono poi diversi riferimenti alla cultura egizia, non ultimo il libro Le roman de la momie di Théophile Gautier (che racconta la storia di una bellissima donna egiziana che si innamora perdutamente di uno schiavo ebreo).
L’inquilino del terzo piano non venne troppo acclamato negli Stati Uniti – gli americani non masticano troppo di letteratura decadente e surreale – ed ebbe invece un buon successo in Francia dove ottenne la candidatura alla Palma d’oro di Cannes come miglior film. In Italia uscì alla fine del 1976. Alcuni critici europei dell’epoca non poterono fare a meno di intravedere le analogie tra Trelkowski e Polanski stesso, entrambi ebrei naturalizzati francesi, che vivono in un ambiente decisamente ostile alle loro origini (da notare come Trelkowski viene trattato dal commissario di polizia quando va a sporgere denuncia per presunta aggressione). Nel cast tecnico, un elogio merita sicuramente lo scenografo Pierre Guffroy: gli interni dell’intero stabile sono tutti ricostruiti in studio. In realtà l’edificio è di soli due piani ma l’illusione data da specchi sistemati adeguatamente fa in modo che lo spettatore ne veda quattro. La facciata che dà su strada invece esiste veramente e si trova a Parigi al numero 39 di Rue de la Bruyère. La fotografia coi suoi toni cupi e inquietanti è del Maestro Sven Nykvist, autore anche di quasi tutti i film di Bergman. Gli effetti visivi, eccellenti e psichedelici in questo caso, sono del meno noto Jean Fouchet.
Infine, la colonna sonora è diretta da Philippe Sarde, e il suo contrabbasso domina l’intera opera. Lo stesso musicista fa un piccolo cammeo: è l’uomo che nel cinema siede dietro Trelkowski fissando il protagonista con sguardo languido e insistente. L’inquilino del terzo piano è inoltre il primo film ad aver utilizzato il meccanismo “louma”, una gru alla cui cima è fissata una telecamera. Per i collezionisti è certamente consigliabile il racconto di Roland Topor, se non altro per scoprire un autore dal talento fuori dell’ordinario, che qui in Italia è praticamente sconosciuto. Purtroppo, in tutti i Paesi del mondo, il film è disponibile solo su dvd senza l’aggiunta di contenuti extra se non il trailer originale. Ma se avete fortuna potreste accaparrarvi su ebay l’edizione digibook francese, ormai fuori catalogo su tutti i siti, dove il film è accompagnato da un interessantissimo libretto fotografico contenente interviste alla troupe e gustose pagine di critica.