L’ultima neve di primavera
1973
L’ultima neve di primavera è un film del 1973, diretto da Raimondo Del Balzo
Produttori (Ovidio Assonitis e Giorgio Carlo Rossi, con la A-Erre Cinematografica), direttore della fotografia (Roberto D’Ettorre Piazzoli), montatore (Angelo Curi), autore della colonna sonora (Franco Micalizzi) e Nino Segurini tra gli interpreti, sono gli stessi che di lì a poco avrebbero realizzato Chi sei?. Un dato niente affatto ozioso da sottolineare, vista l’inconfondibile personalità che unisce tutte le operazioni partorite da questa factory. Si dice fosse il loro “respiro internazionale”, alludendo all’accentuato formalismo, alla cura nella composizione delle immagini, nella scelta degli spazi e nella resa dei colori (lo stigma di D’Ettorre Piazzoli è inconfondibile), che risultavano altra cosa da quelli del cinema italiano del periodo. “Respirano” di questa strana vibrazione tutti i film di Assonitis e si definiscono immediatamente, appunto, come film di Assonitis, prima che dei diversi registi – spesso puri prestanome – chiamati a dirigerli. Nel caso di Raimondo Del Balzo, che L’ultima neve di primavera proiettò con sé nei cieli di un successo istantaneo e che divenne l’artefice per eccellenza dei lacrima italiani, forse le cose stavano un po’ diversamente. Legato in gioventù da un lungo rapporto fraterno con Dario Argento, conoscitore profondo della cultura americana, grande appassionato di Kerouac e di Bob Dylan e personaggio egli stesso con più di una caratteristica dell’artista maledetto (morì precocemente negli anni Novanta), Del Balzo lasciava la propria impronta e possedeva una giusta misura e un adeguato distacco rispetto alla materia patetica, per cui lo zucchero e il miele non fecero mai parte sovrabbondante della ricetta dei lacrima da lui cucinati.
L’evocazione di Chi sei? è anche istruttiva per capire come Assonitis e compagni, partendo da un punto A per generare una copia, giungessero a un punto B che col primo non aveva più nulla a che fare. Chi sei? sta all’Esorcista di Friedkin, infatti, quanto L’ultima neve di primavera sta a Love story – un film che doveva aver segnato in profondità l’immaginario di Ovidio Assonitis, se persino in Chi sei? la bambinetta se ne va in giro con mezza dozzina delle copie del libro di Erich Segal e Gabriele Lavia si chiama di cognome come Ryan O’Neal, Barret. Il soggetto apparteneva al povero Mario Gariazzo – che passò poi a scrivere e dirigere per la Daunia di Di Leo quel capolavoro mistico, accorato e straziante che è Il venditore di palloncini. Luca, un bambino orfano di madre (presente come fotografia e in un filmino super 8: l’attrice è Rajka Juri) esce dal collegio per trascorrere le vacanze di Pasqua con il padre, un indaffaratissimo avvocato per il quale il lavoro ha priorità su tutto. Vanno in Sardegna – con in mezzo l’amante del padre a fare da terza incomoda, poi redenta – e quindi in montagna a sciare, da soli: ma lì, nel momento stesso in cui riescono a essere finalmente vicini e uniti, il ragazzino si scopre minato da un male incurabile. Love Story perché si comincia, là come qua, con qualcuno che ricorda; e poi perché Renato Cestié, come Ali McGraw, muore di leucemia. Ma quanto al resto, L’ultima neve di primavera non c’entra col film di Hiller e non c’entra nemmeno molto con gli antesignani italici, da Incompreso a L’albero di Natale, che, tanto per cominciare, non avevano potuto fare leva su una child-star come Renato Cestié; che non è che fosse emerso per altre ragioni se non perché funzionava e perché era bravo. Molto bravo.
E poi bello, simpatico, maramaldo, brillante, uno che bucava lo schermo, ne balzava fuori: virtù che altri agnelli imberbi sacrificati alla Morte nel genere, prima e dopo di lui, raramente possedevano e mai tutte insieme. Il film è tutto su Cestié e gli adulti contano poco, difatti gli attori sono quelli che sono: Bekim Fehmiu (un ignoto, Odissea a parte) e Agostina Belli, che nel 1973 era ancora al di qua del suo grande momento – Luigi Comencini aveva chiamato Anthony Quayle; Terence Young William Holden e Virna Lisi. Cestié non ha niente che non sia perfetto in vista della macchina tearjerker della quale è motore, persino la voce, che nella versione italiana è quella di Emanuela Rossi (lo doppierà anche in Bianchi cavalli d’agosto), il cui ausilio diventa essenziale nei momenti di massima drammaticità: il monologo sulle ombre, nel letto d’ospedale e l’ultimo giro di giostra, stretto nella coperta, tra le braccia paterne, prima del buio. Una grandissima percentuale della forza di L’ultima neve di primavera risiede poi nella OST di Franco Micalizzi: e gli artefici del film ne sono talmente consapevoli che si inventano l’escamotage di far ritrovare a Bekim Fehmiu, nella sequenza iniziale in cui l’uomo si aggira come uno spettro dentro una casa desolata, di notte, mentre infuria un temporale, un 45 giri che il figlio gli aveva regalato, con il tema portante della colonna sonora. A ideale esergo, la voce di Sergio Graziani che recita all’inizio una versione compendiaria di Questo amore di Prévert e la frase pronunciata da Cestié spirando tra le braccia paterne: «Peccato, papà, non rivederci più…».