Maddalena
1971
Maddalena è un film del 1971 diretto da Jerzy Kavalerowicz.
Lisa Gastoni. Non c’è altra attrice, nel cinema italiano, che ha giocato altrettanto bene con la sensualità del proprio corpo non più ventenne, con la morbosità del suo personaggio di donna borghese decadente e lasciva, che ritorna in forme similari da Grazie zia (1967) a L’immoralità (1978, il suo addio al cinema prima della rentrée con Ozpetek), passando per Di Leo (La seduzione), Petroni (Labbra di lurido blu), ancora Samperi (Scandalo), persino Lattuada (L’amica) e ovviamente per questo delirio di pretenziosità e baroccheggiante languore che è il film italiano del grande Kawalerowicz. Operazione del tutto sfuggita di mano al regista polacco, che se ne è presto disinteressato lasciando ampi poteri decisionali ai produttori (Franco Clementi e Joseph Fryd), i quali ne hanno decretato lo stile già in fase di ripresa, con lo stesso Fryd che pare facesse da interprete-filtro tra il regista e Sergio Bazzini, revisore della sceneggiatura, traducendo in un modo che definire libero è mero eufemismo. Ovvio che il film abbia avuto dei “problemi” e sia sbarcato nelle sale con un ritardo di ben due anni dalla fine delle riprese, in pieno 1972. Di sicuro, il melò di questa ricca e annoiata signora borghese, che per svagarsi si fa portare un prete in casa la notte di capodanno dai suoi amici libertini, cercando in tutti i modi di sedurlo contro la sua volontà, non regge affatto e risulta confusissimo. Ogni interesse naufraga ben presto nel ripetitivo tira e molla tra i due, all’insegna di un conflitto tra cattolicesimo ed erotismo che pervade l’impianto intero (ovvio, con un titolo così…).
Si salva solo la gigantesca prova d’attrice della Gastoni, amplificata dai primi piani di Gabor Pogany che ne svelano la grande generosità e l’audacia anche fisica, ben oltre le aspettative. Il problema, semmai, è nel protagonista maschile Eric Woolfe, legnoso e inespressivo oltre il dovuto. Come prete che tenta di resistere alle tentazioni della carne è piuttosto ridicolo, e non stupisce che questa sia l’unica esperienza cinematografica della sua carriera. Per di più lo script non lo aiuta, e a un certo punto lo troviamo persino trasferito dalla sua parrocchia cittadina in una nuova chiesa ipermoderna ed elettronicamente automatizzata costruita sull’autostrada, di fronte a un autogrill della Pavesi (un’assurdità!), il tutto per sfuggire alle insidie di Maddalena, che ormai è diventata ossessiva oltre ogni limite… Per fortuna c’è Kim Arcalli al montaggio, che aiuta il film sfornando un incipit molto promettente, con la Gastoni che balla sensualissima e procace, su titoli di testa, accompagnata dalle ovvie note morriconiane (organo da chiesa e percussioni tribali), dietro controluci di chiaro sapore psichedelico che giocano a nascondere le scollature del suo vestitino. Come d’abitudine, Arcalli manomette anche la linearità della azioni, montando due volte, verso l’inizio e quasi alla fine, la sequenza dell’incidente in macchina con Ivo Garrani che resta ferito e la Gastoni, sua moglie, che lo lascia morire senza chiamare aiuto. E sempre Arcalli ricostruisce interamene la sequenza finale, la più bella del film, l’unica che resta davvero impressa allo spettatore (ma che forse arriva troppo tardi), con Maddalena che si concede alle onde del mare, nudissima, dopo aver convinto il prete a seguirla. Ma mentre lei si abbandona voluttuosa nell’acqua, convinta d’aver finalmente ottenuto quanto desiderava, lui non smette di nuotare sempre più a largo, senza mai voltarsi…
L’intervento di Kim gonfia la scena oltre la durata prevista, saccheggiando quasi tutto il metraggio disponibile e riempiendola di musica. Ne viene fuori qualcosa di molto passionale e carnale, che racchiude anche l’immagine più forte del film, con la Gastoni che tornata a riva, si rotola nuda tra le onde e la sabbia, disperata e ancora accesa dal desiderio, in quella che forse è la migliore sequenza della sua filmografia… Per girare con Kawalerowicz, l’attrice racconta di aver rifiutato Anonimo veneziano, nonostante un interesse pazzesco di Enrico Maria Salerno, che la riaccompagnava a casa tutti i giorni dal set di L’invasione di Yves Allégret, per leggerle la sceneggiatura e implorarle di accettare la parte. Paolo Bonacelli compare nei titoli di testa tra gli attori secondari, ma la sua parte si riduce a un paio di striminzite inquadrature nella sequenza iniziale, tanto da far pensare ad un qualche rivolgimento di montaggio che ha lasciato fuori altro materiale.