Malum
2023
Malum è un film del 2022, diretto da Anthony DiBlasi.
Se, come si sul dire, le vie del Signore sono infinite e misteriose, quelle del buon Anthony DiBlasi non possono che apparire decisamente oscure. Cosa potrebbe spingere, infatti, un’ormai ex enfant prodige del nuovo horror a stelle e strisce a scegliere di sporcarsi le mani con un improbabile (e assolutamente non richiesto) remake di una sua stessa cinematografica creaturina? La noia? Il vil denaro? Oppure, molto più semplicemente, una furbissima paraculaggine tipica di chi non è mai riuscito a sfondare sul serio? Si perché, a scarso di qual si voglia equivoco, con questo ultimissimo Malum il caro Anthony non ha fatto altro che aprire il suo filmico freezer per cavar fuori, a nemmeno un decennio di distanza, quel sanguinolento e claustrofobico gioiellino indie che fu Last Shift, per poterlo così servire nuovamente su di un piatto tutt’altro che d’argento, con giusto quel tantino di esoterica lore e stucchevoli jumpscare in più che il nuovo sostanzioso budget e i ricalchi della fidata penna di Scott Poiley ora permettono. Un filmetto certamente godibile in sé e per sé, nulla da dire; modestamente diretto e alquanto indolore per coloro di bocca buona, incapace tuttavia di colpire veramente nel segno nonostante il corposo armamentario a propria disposizione. Male gente! Anzi: Malum, tanto per restare in tema.
Al netto di una confezione più patinata e di un pretesto di base più sostanzioso rispetto alla solleticante Opera Zero, la storiella che ci si ritrova qui tra le mani non differisce rispetto a quella già ben nota. Una storiella di presunto orrore che vede la giovane agente Jessica Loren (Jessica Sula) al suo primo giorno di servizio sul campo impegnata a presidiare, tutta sola sola, l’ormai decadente e dismessa centrale di polizia nella quale prestò orgogliosamente servizio il suo stesso defunto padre (Eric Olson), passato in un lampo dalle stelle alle stalle – o meglio, da eroe a carnefice – dopo aver coraggiosamente salvato tre povere ragazze dalle grinfie di una temibile setta adoratrice di un’oscura divinità demoniaca, prima di far inspiegabilmente scempio dei suoi stessi colleghi per poi congedarsi con un bel proiettile in testa. Subissata da inquietanti telefonate su di una linea che dovrebbe ormai essere inattiva e costretta ad alcuni grotteschi incontri con un delirante senzatetto, un’equivoca prostituta e un buñueliano maialone spuntato dal nulla, la nostra terrorizzata paladina della legge inizierà a rendersi conto di come, in questo sinistro e desolato Distretto 13, le proverbiali Brigate della morte si stanno preparando a tornare direttamente dall’infernale Altrove: pronte ad inchinarsi una volta per tutte all’unico e inabitabile Signore del male.
Sorvolando una volta per tutte sull’opprimente e insondabile oscurità che avvolge le motivazioni dietro a questa bislacca operazione di refresh, va detto e ripetuto che Malum possiede ben poco della sporca e viscerale genuinità del suo piccolo, snello e fierissimo predecessore, preferendo pompare al massimo sul pedale del facile spavento a buon mercato condito con la solita vagonata di satanici cliché tipici del “voglio ma, anche se stavolta posso, preferisco comunque andare sul sicuro”. Ne vien fuori, dunque, un prodotto tecnicamente anonimo e sostanzialmente povero di verve e di idee, appesantito da una confusionaria back story in odor di Manson Family il cui unico vero apporto sta nel rendere ancora più contorto e ingolfato il già di per sé labile tessuto narrativo. La storia si perde per strada in mezzo a multiple apparizioni fantasmatiche da tunnel degli orrori, falsi risvegli e ingannevoli flashback, la consueta dose di sussurri ultramondani e, ultimo ma non ultimo, un barocchissimo epilogo alla Clive Barker capace di guardare spavaldamente negli occhi il folklore targato Ari Aster così come il David Bruckner dell’ultimo ipnotico Hellraiser prima di rendersi inevitabilmente conto di averla fatta fuori dal vaso. E poi c’è il maiale. Unica vera mascotte di questa mediocre valle di lacrime e sangue che, così come lo spaesato spettatore, seguita a far capolino un po’ dovunque nell’arco di questi trascinatissimi novanta minuti, cercando disperatamente qualcosa di anche solo vagamente commestibile e che valga quantomeno lo sforzo della masticazione. Insomma, come si sul dire in questi casi: “contento DiBlasi, contenti tutti”, no?