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Mandy

2018
Titolo Originale:
Mandy
REGIA:
Panos Cosmatos
CAST:
Nicolas Cage (Red Miller)
Andrea Riseborough (Mandy Bloom)
Linus Roache (Jeremiah)

Il nostro giudizio

Mandy è un film del 2018, diretto da Panos Cosmatos

Avessi la fantasia, il talento, l’estrosità, e l’euresis, di un Andrea Pinketts, comincerei dal tormentone che pronunciava una volta quel comico anonimo del Trecento – come cazzo si chiamava? – “Mandi Mandi” e riuscirei ad arrivare per vie convincenti a Mandy (ipsilon o non ispilon), film di Panos Cosmatos con Nicolas Cage, anzi meglio: film di Nicolas Cage diretto da Panos Cosmatos, allunato chissà come e chissà perché a Cannes. Il punto è che non sono Pinketts, quindi di certe spericolate acrobazie non sono capace. Ma son pur sempre Pulici… Prima vengono, comunque, i fatti. Cioè il testo. Mandy racconta di Cage che fa il boscaiolo e che, nel 1983, vive con la compagna Mandy, della quale è innamoratissimo, in una casa in mezzo alla foresta, fatta di vetro o quasi. La prima mezzora è un introibo a questo idillio, con Andrea Riseborough che continua a parlare, lentamente, ieraticamente, stretta a Cage sotto le coperte, dicendo cose tanto alate quanto inutili. Fuori, intanto, nel notturno dei boschi, il rosso e il blu acidi si allacciano in effetti fotografici da aurora boreale, che non hanno alcun senso e fanno solo da culla al fluire delle parole narcotiche di lei. Se uno ha presente quella cazzata di Beyond the Black Rainbow, non c’è nulla di nuovo sotto il sole. O sotto la luna, in questo caso… Le cose migliorano quando peggiorano, cioè quando gli affiliati a una setta, con l’ausilio di alcuni demoni in motocicletta, infrangono l’esistenza di Cage e signora, riservando a lei un trattamento a dir poco allucinante mentre lui, legato con del filo spinato, è costretto ad assistere allo scempio della compagna.

Vi regalo il piacere di scoprire che cosa le fanno, ma il passo successivo è che Cage, lasciato miracolosamente in vita da questi cattivacci – e non si capisce perché – una volta rimessosi in piedi, parte in quarta alla ricerca dei bastardi per ammazzarli uno dopo l’altro, armato di una balestra e di una specie di ascia (che lui stesso ha forgiato, il dedaleo Cage): roba che farà venire nelle mutande i metallari, perché il film, in fin della fiera, è un po’ tutto ispirato a quell’immaginario, tamarro/epico, lì. I demoni sono i primi della lista (pure loro possono crepare, naturalmente se ad ammazzarli è Cage) e poi arrivano gli uomini e le donne della setta. Quindi, sì, è un revenge-movie – con degli inserti a disegni animati, ad abundantiam enfatizzato e misticizzato dai giochi di luce di cui sopra della fotografia di Bejamin Loeb e dalle musiche di Jóhann Jóhannsson. Anche se, a volerla dire proprio tutta, la ferocia espressa dal Cage vendicatore è assai poco soddisfacente rispetto a quel che ha subito. E quindi il cazzone duro di Cosmatos si sgonfia un bel po’ prima di avere consumato l’orgasmo di sangue che ci si aspetterebbe, date le tremende premesse. A leggere le dotte recensioni di Mandy, dal Sundance dove è passato nei mesi scorsi, fino a quelle attuali da Cannes, parrebbe che il regista, che poi è il figlio del glorioso Cosmatos che diresse Cassandra Crossing, voli altissimo con gli omaggi, spaziando da Kubrick a Lynch. Ma uno che sia uno che abbia beccato l’unica palese, marchiana, smaccata citazione del film, non c’è. Tranne me.

Fate mente locale: a un certo punto, a Mandy, quelli della setta prima versano uno strano liquido negli occhi con una pipetta e poi pungono il collo con l’aculeo di un insetto gigante. Manca solo un cartello sovrimpresso che precisi: la seguente citazione è dalla Setta di Michele Soavi. Tant’è che io sono fermamente convinto che il regista – co-sceneggiatore con Aaron Stewart-Ahn – avesse per la testa di fare una specie di folle sequel del film italiano. Magari mi sbaglio, ma non mi sbaglio. I fanatici di Cage troveranno pane per i loro denti nella scena in cui il nostro, in un cesso, in mutande, dopo essersi slegato cerca di metabolizzare il trauma bevendo vodka (?), versandosela sulle ferite (l’hanno pugnalato a un fianco, pure) e urlando. Una performance che fa il paio con il pippone di circa dieci minuti che il capo della setta, Linus Roache, pronuncia davanti a Mandy – e qualche acuto osservatore ha notato che il tizio riesce a non sbattere mai le palpebre: incredibile a dirsi – prima di denudarsi e di dare il via a un altro pippone, questa volta assolutamente non metaforico. Per farla breve e circoncisa: Mandy è del grande fumo negli occhi che avrà effetto su coloro che lo hanno aspettato spasmodicamente e che non vedono l’ora di farsi accecare, essendoci Cage che, se è per questo, fa Cage alla perfezione e quindi soddisferà le attese. Per tutti gli altri, c’è Mastercard…