Mania
1974
Mania è un film del 1974, diretto da Renato Polselli.
Mania appartiene alla produzione polselliana più bizzarra ed esteticamente la più trasgressiva, cioè quella degli anni ‘70, che non a caso ha raccolto molti adepti e “stracultisti”. Le didascalie dei titoli di testa non lasciano dubbi in proposito: «Quando le ombre cupe della notte annullano la visione del mondo, allora dai misteriosi abissi del subcosciente si scatenano le forze incontrollate dell’inconscio e nessuno sa più quali siano i confini della realtà». Su queste “incredibili” e “promettenti didascalie (?!)” appaiono degli alberi minacciosi che si muovono col vento. Improvvisamente lo spettatore viene catapultato sui primi piani di Lailo (Isarco Ravaioli) e Lisa (Eva Spadaro). La donna è nervosa e molto alterata ma soprattutto è alla guida. L’uomo cerca di calmarla, ma sembra non ottenere alcun risultato. Sin da questo concitato dialogo il regista utilizza una miriade di zoom. La strada è avvolta dal nero del bosco e da una pioggia fitta. Improvvisamente smette di piovere. Non si capisce se ci si trovi all’alba o al tramonto. L’automobile intanto sbanda. A complicare il tutto è una misteriosa vettura che si ferma immediatamente a ridosso di una curva, in modo tale da mettere a repentaglio la coppia. La misteriosa macchina (citazione forse involontaria di Duel, 1971?!) guidata da nessuno li segue fino a superarli, ripetendo più volte la stessa strategia del terrore.
Ben presto si viene a capire – attraverso una serie di flashback orribilmente kitsch come la parrucca eccessivamente trans dell’attrice che preannuncia le spregiudicatezze trash di John Waters ma anche quelle ciociare del nostrano Tony De Bonis – che Lisa era sposata con il Prof. Brecht (Brad Euston), esimio luminare, tutto votato alla scienza, molto meno alla vita di coppia. Fortunatamente per Lisa, lo scienziato ha un fratello gemello, Germano, con il quale può sfogare i propri istinti repressi. La situazione raggiunge un acme di melodrammaticità quando il Prof Brecht scopre l’adulterio. La prima a fare le spese è Erina (Mirella Rossi), la fedele cameriera, che perde l’uso della parola. Poi in una reazione a catena (Shakespeare docet!) nel laboratorio il Prof. Brecht (come nella lunga tradizione dei mad doctors!) trova la morte tra le fiamme dei suoi marchingegni. Tenterà inutilmente di salvarlo Germano, rimanendo gravemente ustionato e paralizzato a una sedia a rotelle. Ora Lisa, nonostante sia felicemente fidanzata con Lailo, il quale è stato assistente del Prof. Brecht, deve rifare i conti col proprio passato. Decide di tornare in compagnia solo della fedele donna di servizio Katia (Ivana Giordan) nella fatidica villa. Da questo momento in poi la trama è solo un pretesto per un continuo e irrazionale delirio visionario tra luci stroboscopiche, scheletri di cartone e rumori onomatopeici tipici dei film di fantascienza degli anni ‘50-’60 e le ovvie e prevedibili scene lesbo.
I polselliani doc a tal punto sostengono che l’interno della casa sia di Isarco Ravaioli e al contempo set di altri due film del cineasta: Rivelazioni di uno psichiatra sul mondo perverso del sesso (1973) e Oscenità (girato nel 1973 col titolo Quando l’amore è oscenità, bocciato dalla censura, fu ridoppiato per mitigarne le ire e finalmente uscito nel ‘79, a tutti gli effetti uno dei primissimi hard tricolori). La tesi non è assolutamente peregrina visto che appare lo stesso team: le musiche di Umberto Cannone, il direttore della fotografia Ugo Brunelli, il montatore Otello Colangeli, il direttore di produzione Bruno Vani, gli interpreti Isarco Ravaioli, Mirella Rossi, Max Dorian senza dimenticare la casa di produzione G.R.P. Cinematografica, ovvero Gruppo Renato Polselli. Thriller? Horror? Melodramma? Impossibile etichettarlo e la stroncatura di qualcuno che riuscì a vederlo (il film pare sia stato distribuito pochissimo e non risulta iscritto al P.R.C.), rivela, involontariamente, interessanti aspetti “transestetici”: «[…] Sembra di percorrere uno di quei “tunnel dell’orrore” che gli imbonitori dei Luna Park consigliano alle coppiette in vena d’emozioni grandguignolesche. Gli spettatori hanno più occasioni per sorridere che spaventarsi» (S.C, La Stampa, 28.08.1974).