May December
2023
May December è un film del 2023, diretto da Todd Haynes.
Questo non vuole essere un elogio alla pedofilia o un inno a me stessa, ma è palese quanto nel cosiddetto primo mondo una donna più grande verrà sempre trattata di merda – nel migliore dei casi – se si fidanzerà con uno più giovane. Per arrivare all’ultimo bel e sottovalutato film di Todd Haynes, May December, dovrò parlarvi di me. Spaventata da quel campo minato che sono le relazioni coi coetanei o gli ultraquarantenni, ho cercato rifugio come una rediviva mamma di Stifler nei lidi della generazione Z scoprendo, ma è troppo anche per me, che nella nostra Italia l’età del consenso è di 14 anni. Con una certa tristezza ho esperito come l’età anagrafica, indipendentemente che tu la dimostri o meno, sia un deterrente per qualsiasi idea di frequentazione (onestamente vale per ogni età), ma per la scopata fine a se stessa no, non è un problema, e questo ci racconta abbastanza di come la società sia arretrata e timorosa del giudizio altrui checché abbiate raggiunto (si, dico alle femministe da social) la parità lessicale. Troppo vecchia per una storia, perfetta per una scopata o, per dirla con Paura e Delirio a Las Vegas: “Troppo strano per vivere, troppo raro per morire”. Che c’entra la mia tardiva educazione sentimentale con May December? Molto. Con l’ipocrisia con cui si instaurano i rapporti uomo e donna nel presente? Tutto.
Todd Haynes prende la storia dell’insegnante Mary Kay Letourneau che nel 1996, all’età di 34 anni aveva intrapreso una storia col compagno dodicenne di suo figlio finendo, incinta di lui, in galera. Forse alcuni di voi non erano nati, ma fu un vero scandalo a livello mondiale. Mary finì in galera e sposò il suo studente Vili Fualaau, una volta scontata la pena, ed ebbero diversi figli finché non si separarono nel 2019 (lei è morta l’anno successivo). Haynes prende spunto da questo caso di cronaca e cambia alcune cose (le meno importanti, qui Vili è coreano e non samoano, così come lo Stato in cui si svolgono gli eventi) tenendo il cuore della storia: Elizabeth (Natalie Portman) è una famosa attrice che entra nella vita – e nella villa – di Gracie (Julianne Moore) e Joe (Charles Menton) per capire cosa li ha uniti, quali sono le dinamiche di coppia e cercare di ricreare sullo schermo Gracie lasciando con difficoltà ogni giudizio morale fuori dalla porta. Joe e Gracie non lavorano, campano di rendita grazie allo sfruttamento che i media hanno fatto della loro strana (?) storia, intrappolati in un’estate eterna come due ragazzini che attendono l’inizio del nuovo anno scolastico, il tutto mentre i loro figli si diplomano, lasciano casa e vivono come la società si aspetta da loro. È difficile non provare pietà e non emettere giudizi, giudizi che non vuole dare neanche Haynes, se non nella misura in cui parla di rapporti umani; attraverso questo caso di cronaca il regista di Safe non fa che descrivere in modo spietato le relazioni interpersonali: tutti si rifanno su tutti, l’uno sull’altro. Le relazioni, sentimentali o meno, si basano sempre di un elemento che sfrutta un altro per mantenere una malata catena alimentare: Elizabeth saccheggia emotivamente – e non solo – per il suo lavoro Gracie, così come Gracie ha privato – o ha incentivato ad auto-privarsi – Joe della sua adolescenza. Non vedevo Todd Haynes così spietato da anni e la collaborazione con la sua attrice feticcio, Julianne Moore, non fa che confermare la mia impressione.
May December è un film che rimane a livello epidermico, non mi stupisce il fatto che è stato respinto a priori da molti e rigettato da altri dopo la visione. In un’epoca che si aggrappa da una parte all’annullamento delle differenze tra uomo e donna, mentre dall’altra si rivendicano queste differenze biologiche in nome di un istinto atavico che spiega tanti vecchi maiali cercare la ventenne per riprodursi (con questo ragionamento potremmo pure riportare in auge l’incesto e il cannibalismo), la storia di Gracie deve avere qualche spiegazione a monte ed è lì che lo studio attoriale di Elizabeth diventa sempre più oscuro, tanto da portarla ad aderire alla figura di Gracie in una scena dove il regista omaggia Persona di Ingmar Bergman. C’è chi ipotizza che Gracie sia stata vittima di abusi, chi non le perdona il suo matrimonio e le fa trovare scatole piene di merda all’ingresso, la verità la sa solo la donna che vive crisi di panico e non si capisce se siano pregresse all’incontro con Joe o una risposta a una vita di stress mediatico. Sarebbe più facile per noi e per Elizabeth, come per Joe che è struggente nella sua consapevolezza di aver perduto un’intera fase della sua vita, imputare l’amore per un dodicenne a qualche forma di trauma o disturbo comportamentale e cognitivo, ma se fosse l’amore a presentarsi – alcune volte – nella forma stessa di un trauma? La grandezza di Todd Haynes è sempre stata quella di unire la cultura alta e bassa, di prendere gli elementi pop che formano la nostra vita (come fece con Karen Carpenter o il glam rock) o quelli camp e scomodi (come per Mary Kay) e trarne una fotografia su una piccola porzione di quell’infinito mosaico che è l’abisso dei desideri umani.