Mexico barbaro
2014
Mexico barbaro è un film del 2016, diretto da AA.VV
Le leggende e il folklore popolare sono da sempre uno dei territori più fertili e spaventosi per coltivare il buon cinema horror, in quanto rimandano a qualcosa di primigenio e perturbante che si nasconde dietro l’apparente quotidianità: ce lo insegnano il gotico padano di Pupi Avati e il suo “erede” Lorenzo Bianchini, oppure all’estero gli horror asiatici incentrati sui loro terrificanti spiriti, ma anche il diabolico mondo del brasiliano Coffin Joe (José Mojica Marins), solo per fare alcuni esempi. In un periodo come il nostro in cui gli horror a episodi sono diventati una moda spesso abusata, spicca un omnibus messicano, Mexico Barbaro (2014), che ha fatto il giro del mondo nei festival del genere ed è stato di recente distribuito all’estero in homevideo. Trattasi di otto episodi diretti da altrettanti registi che esplorano varie leggende e personaggi della cultura popolare messicana, ambientati ai nostri giorni, con stili differenti che talvolta omaggiano modelli cinematografici ma sempre in modo personale: troviamo una summa della tradizione horror locale, tra assassini, Boogeyman, troll, fantasmi, mostri, riti magici e l’immancabile “Giorno dei Morti” – notiamo che elementi come l’Uomo Nero e gli spettri sono ricorrenti in tutte le culture e cinematografie, ciascuna declinata secondo lo specifico humus folkloristico (ed è proprio questo a far paura). I registi coinvolti (come anche gli attori) sono quasi tutti sconosciuti da noi, con l’eccezione di Jorge Michel Grau, regista del particolarissimo cannibal-movie Somos lo que hay, di cui l’americano Jim Mickle ha diretto il remake We are what we are. In ordine cronologico troviamo: Tzompantli di Laurette Flores Born, Jaral de Berrios di Edgar Nito, Drena di Aaron Soto, La cosa mas preciada di Isaac Ezban, Lo que importa es lo de adentro di Lex Ortega, Muñecas del suddetto Grau, Siete veces siete di Ulises Guzman e Dia de los Muertos di Gigi Saul Guerrero (unica altra donna del gruppo insieme alla Flores Born). Come la maggior parte dei film a episodi, si alternano segmenti più riusciti e altri meno, ma il risultato complessivo è ottimo e dimostra come questi giovani registi “underground” abbiano del potenziale da sviluppare: colpisce soprattutto come il film nella sua globalità riesca a mescolare atmosfera e suspense con l’elemento gore/splatter, senza concedere troppo né alla pura violenza né al minimalismo estremo del “suggerito”, e ad alternare storie realistiche e fantastiche.
Tzompantli ruota attorno al macabro oggetto del titolo, una complessa struttura a forma di telaio costruita con teschi umani – prigionieri di guerra o vittime sacrificali – ed esposta pubblicamente, la cui reale esistenza è documentata in varie culture mesoamericane. La regista colloca questa terrificante usanza in una setta segreta documentata da un giornalista, che nel finale assiste pietrificato a una grande Tzompantli con teste umane mozzate. Con Jaral de Berrios ci spostiamo nel soprannaturale: inizia come un moderno western, con due banditi che trovano rifugio in una chiesa abbandonata, per poi scoprire a loro spese che l’edificio è abitato da un demone sotto forma di donna. Alla tradizione messicana si affianca un probabile omaggio a La casa di Sam Raimi, sia nelle frenetiche inquadrature in steady-cam, sia nel make-up della strega volteggiante in aria; l’elemento sanguinario, appena accennato nel precedente, si esplica qui in misura maggiore nei dettagli sulla ferita del bandito e soprattutto in un amplesso che gronda letteralmente sangue. Drena racconta di una ragazza che ruba una sigaretta a un cadavere, e fumandola riceve la visita di spettri e demoni che tormentano lei e la sua amica. Episodio abbastanza criptico, è particolarmente inquietante nell’apparizione del fantasma dalla maschera bianca che esce dal buio e nel finale shock con la ragazza indemoniata. La cosa mas preciada è girato con un’estetica grindhouse alla Rodriguez (pellicola graffiata, immagine vintage), ma l’episodio acquista man mano una sua personalità e risulta essere uno dei più riusciti e oltraggiosi di tutto il film. Una coppia soggiorna in uno chalet nel bosco, nonostante gli avvertimenti di un vecchio abitante del luogo: nei dintorni si aggirano infatti mostruosi troll affamati di sesso. Ed è proprio la creatura a fare impressione, interamente realizzata con FX di buon artigianato: volto gibboso e purulento, corpo di carne molle (un po’ in stile Society di Yuzna, per intenderci), vomita in faccia alla ragazza un disgustoso liquido giallo, e soprattutto è dotato di un pene enorme e orribile, che viene inquadrato nei dettagli mentre va in erezione, viene masturbato dalla terrorizzata protagonista e appoggiato alle sue labbra. Lo que importa es lo de adentro unisce la paura infantile del Boogeyman con qualcosa di terribilmente reale e sanguinario: una bambina che vive con la madre e il fratellino è terrorizzata dalla presenza sotto casa di un barbone che lei identifica come il Male; e non sbaglia, visto che l’uomo è un cannibale che uccide e mangia i bambini. Insieme al precedente, è uno fra gli episodi più tosti e riusciti (pensiamo anche al connubio fra cannibalismo e istinti pedofili) e unisce al meglio la sensazione di paura (lo sguardo terrorizzato della bambina, il volto diabolico del Babau) con l’elemento gore/splatter, grazie a dettagliati FX di corpi sventrati e interiora pronte per essere mangiate.
Muñecas è l’unico episodio girato in B/N: inizia con una lenta e ansiogena fuga di una ragazza nella palude, e una volta catturata scopriamo essere fuggita da un orribile prigione su un’isola dove alcuni pazzi collezionano bambole insieme a pezzi umani degli sventurati prigionieri. Il terrore ctonio che incutono le bambole è qui espresso alla massima potenza: spaventosa la sequenza che mostra i pupazzi appesi agli alberi (ricorda la stanza degli orrori dell’ottimo corto Caruncula di Mariano Baino), impressionante la prigione dove uno squallido grassone cuoce insieme teste di plastica e braccia umane; la fusione tra bambole e parti anatomiche ricorda l’episodio di un horror di Mojica Marins. Siete veces siete inizia con immagini da found-footage, ma per fortuna la storia procede poi con una narrazione classica: un uomo dal volto sfigurato ruba un cadavere dall’obitorio, lo porta in un luogo isolato e attraverso riti magici lo riporta in vita; i suoi intenti non sono però pacifici. Tra radici viventi mangiate e vomitate in bocca, ossa di animali, bevute di sangue e altri rituali, il morto rinasce come zombi demente per poi riacquistare man mano l’intelletto, mentre il protagonista è tormentato da spettri di cavalieri in fiamme (realizzati con una discreta CGI); il tutto è intervallato con flashback di un precedente fatto di sangue, e solo alla fine si capisce il legame tra i due piani temporali. Conclude Mexico Barbaro il coloratissimo Dia de los muertos, ambientato durante la tipica festa messicana del “Giorno dei morti”, con gli inconfondibili teschi e teschietti. Nessuno spettro però, ma una crudele storia di vendetta: una gruppo di ballerine di night-club si vendica degli uomini che hanno violentato una di loro, massacrandoli durante un’esibizione nel locale. La popolare festa messicana occupa soprattutto la prima parte dell’episodio, con le inquadrature sul barrio locale e i vari oggetti, poi la vendetta dal sapore “pulp” sembra omaggiare Dal tramonto all’alba di Rodriguez: luci colorate, ragazze col volto pitturato da teschio e inizia la mattanza, fra un naso strappato a morsi, una deorbitazione, arti mozzati e gole tagliate. Sarebbe interessante conoscere le varie leggende messicane che stanno alla base dei racconti, anche se non è impresa semplice: il tutto risulterebbe ancora più inquietante, pur essendolo già alla prima visione.