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Morrison

2021
REGIA:
Federico Zampaglione
CAST:
Lorenzo Zurzolo (Lodo)
Giovanni Calcagno (Libero)
Giglia Marra (Luna)

Il nostro giudizio

Morrison è un film del 2021, diretto da Federico Zampaglione.

Morrison, il quarto film di Federico Zampaglione, è finalmente realtà, e uscirà in sala a partire dal 20 maggio. Il leader dei Tiromancino si conferma uno degli artisti più versatili della cultura italiana contemporanea (fra musica, cinema e letteratura), e un regista poliedrico in grado di passare con disinvoltura fra i generi cinematografici più diversi: dalla black comedy (Nero bifamiliare, il suo primo film) all’horror (Shadow), dal thriller argentiano (Tulpa) al dramma di formazione – e qua veniamo a Morrison, liberamente tratto dal romanzo Dove tutto è a metà, scritto da Zampaglione insieme a Giacomo Gensini. Il cinema di Zampaglione è autoriale ed eclettico, è una poetica creativa in costante divenire ma sempre coerente con sé stessa: abbandonati (almeno per ora) il giallo e l’horror, il regista porta sullo schermo un romanzo di formazione fatto di musica, vita, amicizia, amori, tradimenti, delusioni e riconciliazioni. La vicenda (ambientata a Roma) si svolge in un mondo tanto caro a Zampaglione, quello della musica, e ha come protagonista il giovane Lodo (Lorenzo Zurzolo), cantante ventenne dei MOB, una band pop-rock indipendente che si esibisce in uno storico locale in riva al Tevere – il Morrison, appunto – sognando il successo. Spirito ribelle, è spesso in contrasto col padre e cerca di conquistare Giulia (Carlotta Antonelli), la sua coinquilina di cui è innamorato. Un giorno conosce per caso Libero Ferri (Giovanni Calcagno), una rockstar che ha vissuto giorni migliori ed è in cerca del rilancio: Lodo stringe amicizia con Libero e con sua moglie Luna (Giglia Marra), che vivono in una villa piena di ricordi, trovando nell’esperto cantante un aiuto e un punto di riferimento.

Ma le delusioni, tanto professionali quanto sentimentali, sono dietro l’angolo per entrambi. Morrison è un ritratto agrodolce, fra sogni e delusioni, del mondo della musica (e più in generale dello spettacolo): come cantava Marco Masini in Vaffanculo, “La musica è cattiva, è una fossa di serpenti”, e questo è un po’ il discorso che Luna fa a Lodo in una scena toccante, quando gli dice che la musica può dare tanto ma anche togliere tutto. Energia musicale e sogni infranti sono le sfaccettature su cui si regge tutta la storia e delle quali sono impregnati i protagonisti, grazie anche a due interpreti in parte, con i volti e le espressioni giuste: c’è il giovane e promettente Zurzolo (visto nella serie-tv Baby e in varie commedie italiane) e il maturo Calcagno, eccellente ed eclettico attore del cinema italiano contemporaneo (lo ricordiamo in Buongiorno, notte e Il traditore di Marco Bellocchio, ma anche ne La città senza notte di Alessandra Pescetta). Per i due personaggi, il loro incontro diventa uno stimolo reciproco a inseguire i propri sogni, ma anche un difficile confronto generazionale, a cui fanno da contrappunto le tormentate vicende sentimentali di ciascuno – i ruoli delle due donne, la Antonelli e la Marra, sono fondamentali. Zampaglione sfoggia una regia toccante e raffinata, ricca di pathos nella narrazione e ricercata nell’estetica. Basti pensare all’incipit, che richiama ed estremizza l’inizio di Tulpa: un piano-sequenza incredibile di svariati minuti che parte dall’alto, inquadrando il profilo notturno della città, per poi scendere, fiancheggiare il locale, entrare e inquadrare in dettaglio la band di Lodo – virtuosismi che ormai non si fanno quasi più. Poi c’è la fotografia, sempre curatissima nei film del Nostro: le luci e i neon del Morrison, che riecheggiano gli interni del Tulpa e l’incubo di Nero bifamiliare, la festa nella lussuosissima villa di Libero, con luci e design degni del Paolo Sorrentino più maturo (quello de La grande bellezza e Loro).

Morrison è un film ricco di scene notturne, luci e ombre, è un’opera viva e palpitante che – tanto nelle immagini quanto nel narrato – vive di emozioni. Zampaglione, da grande musicista qual è, concede ampio spazio e importanza alle musiche, tutte composte ed eseguite da lui: il regista insiste tanto sui brani diegetici (di Lodo e di Libero), quanto sulle musiche extra-diegetiche che accompagnano le immagini, concedendosi vette di poesia non comuni. Pensiamo al montaggio alternato con i vari personaggi, sulle note di Cerotti dei Tiromancino; o alla scena in cui Libero fa ascoltare la sua nuova canzone ai presenti, e sui primi piani di tutti leggiamo la delusione per un grande ritorno che doveva essere, ma non è stato. Ci sono poi scene iconiche – Libero che dà fuoco ai suoi strumenti e spara alla sua foto, distruggendola – e vari momenti drammatici, fino alla depressione di Calcagno che coinvolge anche due torvi personaggi (Riccardo De Filippis e Adamo Dionisi, villain di vari film italiani), con momenti quasi da noir. Morrison è un atto d’amore verso la musica – ci sono anche i camei di Alessandra Amoroso e dello stesso Zampaglione nei panni di loro stessi, e di Ermal Meta nel ruolo di un severo talent-scout – ma non è accomodante: sia Lodo che Libero a un certo punto vogliono smettere di cantare, amareggiati da un mondo in cui non si riconoscono più; poi l’amore per la musica vince, ma le difficoltà e le delusioni non scompaiono.