My Friend Dahmer
2017
My Friend Dahmer è un film del 2017, diretto da Marc Meyers.
Jeffrey Dahmer, ovvero il cannibale di Milwaukee, si aggiudicherebbe la vetta di una macabra top ten dedicata ai serial killer più efferati della storia del crimine. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90 uccise 17 ragazzi, smembrandoli, sciogliendoli nell’acido per ricavarne degli orpelli e amoreggiando poi con i loro cadaveri. Diversi film hanno cercato di raccontare la sua storia scavando nelle motivazioni, alcuni cadendo nello psicologismo spiccio, altri concentrandosi sul suo personaggio in un’ atmosfera sospesa tra passato e presente (basti pensare a Jeremy Renner nei panni del killer in Dahmer: il cannibale di Milwaukee). My Friend Dahmer, tratto dall’omonima graphic novel di John “Derf” Backder, amico del vero Dahmer all’epoca delle superiori, si discosta dai biopic precedenti, presentandosi a tutti gli effetti come un high-school movie incentrato sul futuro serial killer. Il film, come il fumetto, racconta l’adolescenza del giovane disadattato (l’ex teen-idol di Disney Channel, Ross Lynch), il difficile rapporto con i genitori perennemente in crisi, la consapevolezza di essere un outsider nell’ambiente scolastico e il desiderio di venire accettato dai compagni, risultando persino patetico nei maldestri tentativi di fare il simpatico.
Allo stesso modo vengono mostrate le prime strane pulsioni del ragazzo, in primis l’attrazione verso le carcasse degli animali che colleziona morbosamente nel capanno degli attrezzi, allestito come un laboratorio: Dahmer adora manipolare le ossa e giustifica questi passatempi con la scusa della biologia. E scopre che facendo il buffone attira l’attenzione di alcuni compagni, tra i quali c’è lo stesso Derf (Alex Wolff), che inizia a creare i primi fumetti dedicati alle sue gesta. Ma, nonostante queste effimere amicizie, sembra incapace di costruire dei veri e propri legami. A dispetto delle sue macabre passioni, della palese alienazione e dell’alcoolismo iniziato in età giovanile, Dahmer sembra il classico ragazzo della porta accanto, con un faccino pulito e dei modi tutto sommato affabili che non destano particolari preoccupazioni. Meyers si limita a riportare con fedeltà i fatti realmente accaduti, senza imporre alcun giudizio in merito, ricorrendo a un dark humour che ricorda tanto Fuga dalla scuola media di Solondz. Ross Lynch, dal canto suo, è un perfetto Dahmer adolescente, identico nell’aspetto e con un atteggiamento fisico (dalla camminata alla mono espressività facciale) davvero azzeccato, senza cadere nella trappola della caricatura.
Un lucido e crudele affresco di un “Giovane Holden” senza speranze e della sua incapacità di esprimere quelle emozioni e quei sentimenti che fanno parte del normale coming of age di ogni teenager americano. Difficile dire se la colpa sia sua o del contesto che lo circonda. Un contesto (sociale) che, nonostante i tanti sforzi, non riesce a capire appieno. Il film termina proprio quando Dahmer inizia a uccidere, lasciando l’amaro in bocca di fronte a tanta fragilità che si trasforma in cieca violenza, quasi fosse un orgasmo da troppo tempo represso. My Friend Dahmer spiega, senza falsi tabù e discernimenti morali, un’innocenza del male seducente e agghiacciante come nessuna delle cronistorie dei delitti più dettagliate avrebbe mai potuto fare. E il tutto senza mostrare una goccia di sangue.