
Nightbitch. Bestia di notte
2024
Nightbitch. Bestia di notte è un film del 2024 scritto e diretto da Marielle Heller.
Amy Adams che si trasforma in un cane: ci immaginiamo così la sinossi in due righe o, se vogliamo, il possibile high concept, che potrebbe essere stato presentato ai produttori della Annapurna per convincerli a realizzare il progetto Nightbitch, tratto dall’omonimo romanzo di Rachel Yoder. Se non fosse che tra le produttrici del film troviamo la stessa Adams (messasi coraggiosamente e fisicamente in gioco), evidentemente infervorata per i temi trattati, ovvero la maternità, il ruolo sociale della madre e i problemi socio-psicologici che ne derivano. Ma immaginiamo anche che, visto il carattere tipicamente indie del film, la Annapurna, che in passato ha prodotto P. T. Anderson, Audiard, i Coen, Dominik e Corine, abbia fiutato qualcosa, almeno sulla carta, di interessante. Purtroppo ciò che c’era di interessante è rimasto probabilmente sulla carta, non sappiamo se quella del romanzo o quella della sceneggiatura, redatta dalla stessa regista Marielle Heller. La trama è presto detta: la Madre (Amy Adams indicata così nei titoli di coda) di un pargolo di tre anni, infelicemente sposata con un uomo (Scoot McNairy, indicato come Marito) che, per lavoro, sta via 4 giorni la settimana, si ritrova a dovere fare da mamma e casalinga, mettendo da parte le sue ambizioni artistiche. Il carico di stress psicologico si fa via via più pesante, sino a sfiorare il livello di guardia, nel momento in cui il coniuge, quando è in casa, non si rivela poi di grandissimo aiuto. Interviene a salvarla una bizzarra mutazione che, iniziando con la crescita di alcuni peli sulla schiena e col pronunciarsi dei denti canini, finirà col produrre una vera e propria trasformazione notturna in cane. Al mattino le cose ridiventano come prima, si fa per dire. La scoperta della natura canina rende la Madre improvvisamente consapevole del proprio potenziale femminile e questo produrrà impreviste e vantaggiose conseguenze sulla sua vita.
Se di primo acchito può venire in mente il recente Animal Kingdom (2023), di Thomas Cailley, siamo purtroppo fuori strada. Se il regista francese riusciva a dire qualcosa di nuovo sulle mutazioni teriomorfe, lanciando la metafora della segregazione sociale ben oltre i cinecomic degli X-men, Nightbitch si ferma invece al manifesto programmatico, verbalizzato all’eccesso, di una maternità indipendente e consapevole, scevra dai ruoli sociali imposti da millenni di… lo diciamo? Patriarcato! Lo abbiamo detto. Senza addentrarci in riflessioni che esulerebbero da una recensione, come a volte accade il problema non è il tema, pur legittimo, che si vuol mettere in scena, ma sono le modalità. Ascoltare il quasi perenne monologo interiore della Madre, che mette al corrente lo spettatore di qualsiasi pensiero o emozione che le passi per la testa, non valorizza quelle idee che si vorrebbero nobilmente trasmettere. Ci dispiace essere pedissequi ma, per una volta, citare il buon vecchio motto degli sceneggiatori americani, Show, Don’t tell!, in questo caso sarebbe perlomeno congruo. Sarebbe stato più che sufficiente, per portare avanti la tesi del film, mostrare semplicemente certe situazioni e le conseguenti reazioni della Madre. Ma invece la Heller tortura lo spettatore con la tonitruante voce narrante della Madre, nonché con scene in cui vediamo (ohibò!) la messa in scena di fantasie della protagonista in cui immagina sé stessa rispondere a tono di fronte a certi interlocutori che, per esempio, le chiedono se si stia divertendo a fare la madre. In una di queste fantasie, il balzo selvaggio che la Madre immagina di compiere per aggredire finalmente l’irritante Marito, è perfino più ridicolo dei balzi di Jack Nicholson e James Spader in Wolf (1994). Finché, sull’onda dei liberatori istinti canini, vediamo la Madre prendere in mano le redini della situazione e rispondere a dovere ad una congrega di amici pseudo-artisti snob con cui è andata a cena, sia tramite ringhi selvaggi sia con una battuta degna di entrare nell’empireo delle battute scult: Potrei schiacciare una noce con la mia vagina. No, non è una linea di dialogo di uno Scary movie, siamo invece dalle parti di una presupposta affermazione del potere femminile sul mondo.
Tale potere viene esplicitato tramite un libro scovato in biblioteca (grazie alla iconica e sprecata Jessica Harper di Suspiria in veste di bibliotecaria), intitolato A field Guide to Magical Woman, di Wanda Wasserstein. Volume etnografico fittizio in cui si parla dell’archetipo femminile nelle sue forme magiche, all’interno di varie culture, in relazione soprattutto alle donne-animali. Espediente anche questo sovra-utilizzato in tutti i film horror dove si vuol dare una patente mitologica e/o antropologica al mostro di turno. Peccato però che questo non sia neanche un film dell’orrore e non c’è nessuno sbranamento nei confronti del marito ignavo o di qualche amica imborghesita e spocchiosa. Almeno sarebbe stato divertente. Dopo alcuni attriti, tutto sembra trovare poi una propria noiosa e anodina armonia. I conflitti vengono ricomposti in modo fin troppo semplicistico e ciò che sembrava poter deflagrare in avvincenti sviluppi, viene invece addomesticato. Con buona pace dell’istinto animale che tanto viene esaltato in Nightbitch! Rimane il concetto interessante della maternità come evento brutale e primordiale che sconvolge la vita biologica della donna, accennato però qua e là solo nelle parole che la Madre rivolge al pubblico. Ma dei risvolti ancestrali, o sciamanici, riferibili ai potenti archetipi femminili delle possibili mitologie coinvolte, che potevano dare uno spessore interessante alla vicenda, purtroppo non rimane traccia, se non nelle pagine del libro consultato dalla Madre. La Heller firma dunque un manifesto programmatico sulla maternità e sul suo valore primordiale di sconquassatore della biologia e delle regole sociali imposte alla donna. Ma in questo manifesto, c’è poco di un film.