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Nöthin’ But a Good Time: The Uncensored Story of ’80s Hair Metal

2024
REGIA:
Jeff Tremaine
CAST:
Corey Taylor (séstesso)
Bret Michaels (sé stesso)
Tracii Guns (sé stesso)

Il nostro giudizio

Nöthin’ But a Good Time: The Uncensored Story of ’80s Hair Metal è una serie tv del 2024 diretta da Jeff Tremaine.

Paramount + aveva già indagato, con risultati apprezzabili, il fenomeno musicale hair metal, e lo aveva fatto con la breve docuserie intitolata I Wanna Rock (recensita lo scorso anno anche da Nocturno). Ci riprova ora con un format sostanzialmente identico e il cui racconto si rifà alla monografia Nöthin But a Good Time: The Uncensored History Of The ’80s Hard Rock Explosion, scritta a quattro mani dai giornalisti rock Tom Beaujour e Richard Bienstock. Stavolta, per riprendere il discorso sui fasti di quel Sunset Strip che diede terreno al successo dei temerari Mötley Crüe (e a quello di tanti altri), il canale statunitense ha ben pensato di affidarsi alle cure registiche di Jeff Tremaine, già co-creatore della serie Jackass, nonché director del colorito biopic sugli stessi Mötley Crüe, The Dirt. La finalità di Nöthin But a Good Time – il titolo è lo stesso di una hit dei Poison, band glam guidata dal leader Bret Michaels, vorrebbe essere quella di concedere uno sguardo fresco e sincero su una delle epoche musicali più esplosive (e certamente irripetibili) del ventesimo secolo, coinvolgendo – Michaels compreso – i volti di una parte di coloro i quali, fra artisti e manager di quegli stessi artisti, ne fecero parte. Che i produttori abbiano scelto maliziosamente di giocare facile risulta tuttavia evidente, dacché quello del metal anni Ottanta è un argomento in grado di suscitare un interesse in sé sufficientemente perpetuo per il quale non si contano, ormai, i tanti resoconti documentaristici: a cominciare dal discusso The Decline Of Western Civilization Part II: The Metal Years, di Penelope Spheeris. Infatti la struttura narrativa del lavoro di Tremaine, in cui peraltro appare, seppur fugacemente, anche la stessa Spheeris, non aggiunge granché rispetto a quanto aveva già fatto, negli anni Duemila, la serie Heavy: The History Of Metal, andata in onda anche in Italia (su MTV) prima del deprecabile avvento dello streaming.

Heavy esaminava il movimento glam/hair metal degli Ottanta sotto il profilo dello stile di vita sfrenato delle rockstar a esso relate, mettendo a fuoco gli effetti a lungo termine dell’avvento di quel movimento sull’industria musicale e il suo stesso declino. Parimenti, Heavy si concentrava sull’esplosione della popolarità dei Guns N’ Roses, band che fu in grado di capovolgere il Sunset Strip offrendo qualcosa di realmente concreto con cui i fan dell’hard rock avrebbero finalmente potuto identificarsi. Inutile dirlo, il nucleo contenutistico di Nöthin But a Good Time si basa su tutto questo, e nemmeno viene tralasciato, ancora come in Heavy, l’affondo sullo US Festival 1983 di San Bernardino, evento che segnò l’affossarsi della new wave americana in favore dell’affermarsi della nuova scena heavy. Mentre però nella precedente serie Paramount I Wanna Rock si evidenziavano con una certa serietà i lati oscuri connessi al rapporto con il music business, in relazione a coloro che emersero (o provarono a farlo) negli anni Ottanta, Nöthin But a Good Time si limita a fotografare in modo compiaciuto il lato più buffonesco di tutto quel periodo storico. Party, droghe, ragazze e ancora ragazze. (“Girls, Girls, Girls”, per dirla alla Mötley Crüe). Non a caso, Tremaine riparte da dove aveva lasciato con The Dirt, e un buon settanta per cento del primo episodio è incentrato sulla ascesa di quel gruppo. Inoltre Tremaine, in maniera raffazzonata, mescola nomi di band che per un fan non necessariamente potrebbero stare sotto lo stesso tetto, e oltre ai vari Ratt, Ozzy Osbourne, W.A.S.P., Dokken, White Lion, dedica uno spazio sin troppo ampio – e non proprio necessario – a una band minore come i Trixter.

Tralasciando poi il fatto che la dissolutezza e i comportamenti eccessivi di certi artisti del periodo finirebbero oggi nel mirino del politicamente corretto, il tono narrativo della serie denota a tratti una certa approssimazione, quando non direttamente una certa superficialità (ha ancora senso insistere col messaggio che l’uscita di Nevermind segnò il “Big Crash” del glam metal?). Meglio quando, trasformando le immagini in cartoon, Tremaine ripercorre “l’abitudine” di Nikki Sixx e Tommy Lee, assicurandola ai ricordi del manager Doc McGhee, di mordere sulle braccia i componenti di altre band (fra cui Eddie Van Halen), o la rapina sfociata quasi in omicidio perpetrata dal cantante dei Great White Jack Russell (scomparso, fra l’altro, nell’agosto di quest’anno dopo il decorso di una grave malattia). A Tremaine va in ogni caso riconosciuto il merito di aver tirato in mezzo, per questi tre episodi, personaggi minori come il chitarrista dei Kix Brian Forsythe o il cantante degli sfortunati Tuff, Steve Rachelle, e apprezzabili sono anche le incursioni verbali del cantante degli Slipknot Corey Taylor (che già aveva firmato la prefazione alla versione cartacea di Nöthin But a Good Time), del chitarrista degli L.A. Guns Tracii Guns, di Dave “The Snake” Sabo e Rachel Bolan degli Skid Row, così come dell’ex Guns N’ Roses Steven Adler, sopravvissuto per miracolo a un uso devastate di eroina e altre sostanze. Più scontata e irritante è invece la presenza di Riki Rachtman, ex VJ della trasmissione metal di MTV Headbangers Ball, cui viene permesso di aggiungere nuovi elementi, per di più fantasiosi, al noto episodio che vide un imbestialito Axl Rose rincorrere David Bowie fuori dal Cathouse, il night-club che Ratchman aveva gestito, insieme al leader dei Faster Pussycat Taime Downe, durante l’heyday dell’hard rock USA.