Peninsula
2020
Peninsula è un film del 2020, diretto da Yeon Sang-ho.
Raccontare una storia di epidemie, contagi e quarantene nel 2020 ha un sapore inedito e particolare per quelli che queste dinamiche, spesso per la prima volta, sono state vissute in prima persona, senza il filtro della fiction e dell’immaginazione. Se l’attuale pandemia cambierà strutturalmente l’approccio creativo nel genere, lo vedremo solo con il tempo, ma delle prime avvisaglie, probabilmente involontarie e figlie unicamente dello Zeitgeist, le possiamo già individuare in Peninsula, ultimo capitolo della trilogia zombi di Yeon Sang-ho dopo Seoul Station (2016) e il più famoso Train to Busan (2017), prodotti in Corea del Sud, uno dei paesi più colpiti dall’attuale pandemia e dove il film è stato, contrariamente a molte previsioni, il volano per il ritorno della gente al cinema dopo il lockdown. Peninsula è un racconto post-apocalittico, violento e spietato, fortemente distopico e attualissimo e ciò nonostante la gente è corsa a vederlo, alla faccia di chi pretende di sapere di cosa ha bisogno il pubblico al giorno d’oggi. Ciò che era abbastanza circoscritto durante gli avvenimenti di Train to Busan si è espanso a un livello più ampio e l’intera penisola coreana è invasa da zombi, costringendo le nazioni a isolare il posto.
I sopravvissuti vivono come rifugiati nella vicina Hong Kong, vittima del razzismo dei locali che ne temono possibili contagi, mentre la penisola corena viene sigillata per quattro anni in una ferrea quarantena. Il soldato Jung-seok (Kang Dong-won) e il cognato Cheol-min (Kim Do.yoon), dopo aver perso la propria famiglia per un focolaio esploso in una nave, vengono assoldati da un criminale americano per recuperare al di là del confine un furgone pieno di soldi e ormai abbandonato. I due con un paio di criminali a supporto rientrano in una Corea ridotta in rovine e popolata da zombi, che però di notte sono totalmente ciechi, e da bande di sciacalli, come l’unità 631 che prenderà il gruppetto di mira. Jung-seok viene però salvato da due ragazze, che lo aiuteranno a uscire fuori dalla penisola. Zombi permettendo. Così come Train to Busan, anche Peninsula è sostanzialmente un film che fa del movimento la propria ragione d’essere e degli zombi un puro escamotage per accendere l’azione. Di morti viventi ce n’è a bizzeffe, ma sono sempre accessori all’interno dell’immagine. Se nel film precedente il fuoco era puntato (a torto) sulla lentezza delle autorità coreane nel reagire a un’epidemia così veloce, qui il nocciolo è sostanzialmente far pendere il nucleo del pericolo non dalla parte dei mostri, ma degli stessi uomini: le minacce principali sono difatti la sete di denaro, che scatena l’intera vicenda, la paura nell’altro, che in tempi di epidemia si accentua, e l’anarchia sociale.
Yeon Sang-Ho punta il dito su quello che il virus mette allo scoperto ed è ben di più della semplice malattia, anticipando probabilmente la direzione che i prossimi film pandemici potrebbero prendere da qui in avanti. Poi però si ricorda che il suo è principalmente un film di intrattenimento e mette in piedi un lungo ed emozionante inseguimento notturno in auto, tra le strade piene di rottami e con veicoli fantasiosamente corazzati, che non può non far pensare a Mad Max – Fury Road, solo con tonnellate di computer grafica in più e zombi come se piovessero, con sequenze che esteticamente ricordano l’animazione di Seoul Station più che la concretezza del live action. Nonostante il finale eccessivamente lieto e pieno di scene madri straviste, il film ha una cupezza, nelle ambientazioni e nelle vicende dei personaggi, che difficilmente si lascia staccare a fine visione e ci dona senza chiedercelo una visione di un presente, mascherato da futuro, assolutamente spaventoso. Oltre al già citato inseguimento con il furgone, degno di nota come set piece è sicuramente l’inizio sulla nave, forse il momento più spaventoso ed emotivamente devastante di tutto il film.