Perfect
2018
Perfect è un film del 2018, diretto da Eddie Alcazar.
La stragrande maggioranza dei film che quotidianamente transitano dinnazi ai nostri occhi appartengono alla fantomatica categoria della cosiddetta “normalità”. Tuttavia ve ne sono altri, molto più rari ma ugualmente presenti che, per propria volontà e di coloro che li hanno creati, sfuggono a qualsiasi tentativo di categorizzazione. Ed appunto questa la natura profonda di Perfect, un bizzarro e affascinante oggetto filmico non meglio identificato che, nella sua rutilante spola fra le più variegate manifestazioni dell’audiovisivo contemporaneo, risulta alla fine un’esperienza da viviere piuttosto che semplicemente da udire o da vedere. Contrariamente a quanto il proprio titolo farebbe presupporre, l’opera d’esordio di Eddie Alcazar è tutto fuorché perfetta, principalmente a causa di questa sua natura forse eccessivamente ibrida che non lo vuole né film compiuto, né videoclip musicale e né tantomeno semplice videoinstallazione artistica. Né carne e né pesce insomma, un prodotto decisamente al di fuori dei canoni cosiddetti tradizioali che, proprio per questo suo pedigree così weird, si è guadagnato la benedizione e il conseguente sostegno morale ed economico di un folle intenditore come Steven Soderbergh. E scusate se è poco! Se poi aggiungiamo una presentazione in pompa magna al South by Southwest, beh, capite anche voi che almeno un’occhiatina se la merita senz’altro. Così come la brulicante e senziente materia che componeva il misterioso pianeta Solaris immaginato su carta da Stanislaw Lem e concretizzato su schermo dal quel geniaccio di Tarkosvskij, Perfect è un’entità viva, mutevole e dotata di un proprio intelletto, capace di trasformarsi continuamente in corso d’opera senza mai stazionare su di una forma definita.
Tanto indefinita nella sua forma quanto labile e ostica nel suo contenuto, l’inafferrabile creatura di Alcazar è plasmata a partire da una sceneggiatura di Ted Kupper nella quale risulta difficile individuare una vera e propria narrazione in senso classico, preferendo abbandonarsi a una serie di suggestioni evocate dalle poche machiavelliche parole quanto dalle potentissime e lisergiche immagini. Di fondo la labile struttura del racconto poggia sulla vicenda di un non ben identificato giovane (Garrett Wareing), il quale, dopo essersi risvegliato una mattina con accanto il cadavere martoriato di quella che si intuisce possa essere la sua compagna, viene condotto dalla sua misteriosa Madre (Abbie Cornish) in una futuristica clinica di altrettanto oscura ubicazione nella quale, attraverso una serie di innesti biotecnologici, i pazienti possono modificare il proprio corpo e le proprie menti, alla ricerca per della tanto agognata perfezione. All’interno di questa fantastica struttura a metà strada fra una spa/laboratorio e il covo di meditazione di una setta, il nostro farà la conoscenza intima della giovane Sarah (Courtney Eaton), anch’essa intenzionata a servirsi degli ultimi ritrovati della scienza per raggiungere una sorta di trascendenza che sembra quasi sconfinare in un vero e proprio transumanesimo. I due protagonisti di Perfect appaiono dunque come dei non-esseri, lei proveniente da un indefinito “molto lontano” e lui da un altrettanto criptico “non molto lontano”, muovendosi in un paesaggio poetico e lunare che a volte non sembra neanche abitare fisicamente su questo nostro terracqueo pianeta. Fin dalle primissime sequenze, con i lenti e fluidi movimenti di macchina che sondano l’interno di strutture mediche di un’asetticità quasi mistica, pare di essere catapultati di forza nell’universo tecno-organico di un giovane e sperimentalissimo Cronenberg fresco fresco di Stereo e Crimes of the Future, coronato da architetture minimaliste al limite dell’ascetico che ricordano molto da vicino dei centri di culto piuttosto che templi del sapere.
Ed è questo osmotico confine tra scienza e religione l’elemento che più di ogni altro riesce a rendere conto della natura estremamente sbiadita e multiforme di Perfect, la cui forma chiaramente sperimentale non può certo nascondere i forti debiti nei confronti del mood psichedelico di un Refn ultima maniera e di un Gaspar Noé lanciato al massimo dei propri eccessi estetici, il tutto pompato verso un epilogo che, sulle artificialissime note dello score di Flying Lotus (anche co-produttore), tenta di ribaltare la filosofia del trip allucinogeno dello star child di 2001 Odissea nello spazio . E in un certo qual modo è un’odissea decisamente stordente quella di Alcazar, nella quale il surreale upgrade corporeo professato dai protagonisti e la conseguente evocazione degli ancestrali tabù risalenti agli albori della razza umana diventano metafora della maturazione sessuale di questi ultimi, fattore richiamato dall’originale e provvisorio titolo dello script di Kupper che per l’appunto rimandava all’intricato e misterioso universo della Pubertà. Più che meramente lynchana l’esperienza di visione richiama alla mente i suggestivi universi artistici di autori come Lech Majewski e Peter Greenaway, dove le barriere che solitamente compartimentano le varie forme espressive vengono allegramente fatte detonare, generando universi tanto avvolgenti quanto immancabilmente indigesti per un pubblico generalista. Se infatti esperienze altrettanto lisergiche come quelle ad esempio di Bliss o di Mandy hanno dalla loro quantomeno una volontà di raccontare, nel caso di Perfect la filosofia dominante appare quella di esprimere un qualcosa di così maledettamente arcano che, fascinazione a parte, come in un ottimo trip alla fine si torna alla realtà con la sensazione di aver assisto a qualcosa di cui si potrà conservare traccia più sulla pelle che non nella memoria.