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Ping Pong – Il ritorno

2024
Titolo Originale:
Ping Pong - Il ritorno
REGIA:
Deng Chao e Yu Baimei

Il nostro giudizio

Ping Pong – Il ritorno è un film del 2024, diretto da Deng Chao e Yu Baimei.

In Italia il ping-pong, più che uno sport, è un gioco estivo da stabilimenti balneari o da aree comunali  adibite al divertimento dei ragazzini, anche se esiste dal 1945 come disciplina sportiva. In Cina, invece, è lo sport nazionale, come da noi il calcio. È dunque difficile, per un italiano, appassionarsi alle gare di tennis da tavolo. Il film Ping Pong – Il ritorno, uscito da noi in sala il 14 novembre scorso, riesce comunque a creare momenti adrenalinici, grazie alle tecniche di regia di Deng Chao (anche protagonista) e Yu Baimei, poco noti in Europa, se non ai sinologhi cinefili, ma assai conosciuti in patria.
Ambientato tra il 1992 e il 1995, il film è la storia di un allenatore di ping pong, (ispirato al vero coach Cai Zhenhua) che, dopo essere stato derubato a Roma (dove allenava la nostra nazionale di ping poiing) e maltrattato dalla polizia («Lavi i piatti o fai massaggi?», gli chiedono gli agenti infarciti di stereotipi sui migranti asiatici), torna in Cina con la moglie incinta e l’obiettivo di ridare gloria alla squadra nazionale, surclassata dalla Svezia nel ’92. Impresa ardua: la Cina non dispone dei finanziamenti di cui possono beneficiare gli scandinavi e gli europei in generale. Ma, sotto la sua rigidissima guida, Deng Chao (lui stesso fu un campione ma lasciò a 24 anni) riuscirà a riportare al trionfo cinque suoi giocatori, ognuno dei quali con una particolarissima storia personale: chi, solo al mondo, è chiuso in se stesso; chi, campione assoluto, cerca di nascondere un dolore al braccio; chi è ancora solo un quindicenne pieno, però, di talento. In due anni il coach – promette – riuscirà a riportare la Cina ai fasti di sempre. E ci riuscirà, anche scontrandosi pesantemente con i suoi ragazzi (chi scappa la notte calandosi dalla finestra per andare in discoteca, chi nasconde bottiglie di alcol sotto il cuscino… tutti immancabilmente beccati e pesantemente cazziati).

Il film si snoda sul tema della vittoria, con rimandi e citazioni a Momenti di gloria di Hugh Hudson, una vittoria resa ancor più difficile dalle continua richieste di ingaggio dei migliori atleti cinesi da parte delle squadre europee (a botte di 50.000 dollari, «più o meno quello che un giocatore professionista cinese potrebbe guadagnare in patria in un intero anno»). Ma loro non mollano, affetti anche da Nostalghia per la patria. Tanto patriottismo (non meloniano, ma sportivo), tanti episodi celebrativi, abbracci, e «seeee!»a pugno alzato ad ogni colpo azzeccato, condito, a tratti da toni melò come quando l’allenatore chiamato dalla moglie (un po’ rompipalle per la verità) gli passa al telefono il figlioletto neonato che riesce a formulare una parola che somiglia a «papà». Lui piange. O quando uno degli atleti (quello con i problemi al braccio), trovandosi di fronte ai biondoni svedesi, esclama: «Meglio morire in campo da campione che perdere!». O quell’altro ancora che, dopo essere stato espulso (è colui al quale il coach aveva sequestrato la bottiglia di liquore nascosta in branda) blocca il pullman dei compagni (ricordiamoci che sono comunisti) piazzandosi davanti al mezzo in partenza urlando: «Perdono!» (verrà riassunto).

Insomma, fra un topsin e l’altro la Cina batte la Svezia in uno stadio gremito da bandiere rosse e vichinghi incazzati. E il colpo decisivo del campione cinese scatta dopo che lui ha lanciato uno sguardo alla fidanzata sugli spalti (note di Karate Kid e ogni tanto dei film con Bruce Lee). «Ma perché la Cina vince?», chiede una giornalista in conferenza stampa: «Perché il popolo cinese è quello più rigoroso e determinato». Bello schiaffo ai capitalisti. Molto intriganti e tecnicamente talentuose le riprese degli incontri al tavolo, con tanto di ralenti, una volta tanto azzeccato. Pur avendo origini britanniche (XIX secolo) e ancor più lontane eco nella Jeu de Paume o pallacorda francese, negli anni 50, Mao Tse Tung, proclamò il ping pong sport nazionale cinese. E la Cina vinse praticamente sempre, tranne rarissime eccezioni, anche nelle recenti olimpiadi parigine di quest’anno. Qualcuno ricorderà anche che il tennis  da tavolo ebbe un ruolo importante nelle trattative per la distensione mondiale (1972) quando Usa e Cina si confrontarono sul tavolo verde in un’amichevole partita. Oggi in Cina ci sono circa quaranta milioni agonisti di ping pong e addirittura trecento milioni di giocatori amatoriali. Una realtà a noi più o meno sconosciuta che questo film ci fa conoscere, esplorandola anche nei suoi più intimi momenti agonistici, senza fronzoli, e persino con accenni al confronto fra comunismo e capitalismo.