Pycho Goreman
2020
Pycho Goreman è un film del 2020, diretto da Steven Kostanski.
Mimi (Nita-Josee Hanna ) e suo fratello Luke (Owen Myre) sono impegnati in un gioco da loro inventato. Luke perde e, per penitenza, è costretto a scavare una fossa profonda nel giardino di casa. Nella terra, però, tra i sassi e le radici, sbuca qualcosa di inaspettato: un sarcofago stranissimo, con una grande gemma rosa posta come sigillo. Mimi è subito attratta dalla gemma e decide di tenerla con sé. Quello che i due ancora non sanno, però, è che la gemma è in grado di controllare l’alieno sepolto nel sarcofago, un umanoide mostruoso il cui unico obiettivo è quello di annientare l’universo, ma che dovrà venire a patti con la sua padrona dodicenne. Nel panorama dell’horror contemporaneo, il cinema di Steven Kostanski rappresenta un piccolo angolo felice. Regista, sceneggiatore, montatore e produttore di film indipendenti, è più noto alle grandi major per il suo lavoro da truccatore (suoi molti make up per It, Suicide Squad, Crimson Peak). Ma gli appassionati lo ricorderanno senz’altro per il suo The Void, co-diretto con l’amico e collega Jeremy Gillespie. I film di Kostanski sono incasinati, dal piglio anarchico, imperfetti per sbaglio o per scelta, ma con un gusto inconfondibile per l’organicità della carne. Pycho Goreman non fa eccezione: l’ultimo splatter movie di Kostanski è innanzitutto un horror materico, che gioca con i generi e le citazioni quanto con la fisicità dei corpi.
Il mostro alieno protagonista si diverte a staccare teste, scioglie la pelle di un poliziotto, divora gli avversari come il Freddy Kruger più famelico, è sporco e disgustoso, perde melma rosa al posto del sangue. La sua presenza in scena è reale e tangibile, come d’altronde per tutti gli alieni rappresentati: il cervellone tentacolare sembra uscito da The Brain (Ed Hunt, 1988), un altro ricorda gli esseri cyberpunk di Meatball Machine. E se con The Void il duo Kostanski-Gillespie ha omaggiato (o saccheggiato) i film di Carpenter e Fulci (il finale sovrapponibile a quello de L’aldilà), Psycho Goreman spazia tra Star Wars, E.T. e gli horror anni ’80, delineando di fatto una versione gore e demenziale di Stranger Things. Il citazionismo è certamente spinto, a tratti infantile, ma il (cattivo) gusto per l’eccesso spinge l’opera al di là della semplice masturbazione cinefila: The Void mancava di ironia e suspense, ma PG rinuncia alla suspense per puntare al grottesco, al demenziale, verso una narrazione fuori controllo e imprevedibile. Oltre l’ironia, dentro l’assurdo. La trama è di fatto un pretesto per dare sfogo al nonsense più puro, per divertirsi con gli effetti speciali di un tempo e scoprire tutte le possibilità espressive, anarchiche, eversive della serie B.
L’interpretazione della piccola Nita-Josee Hanna garantisce al film un umorismo fresco e ben ritmato (a tratti sembra di vedere una versione live action di Rick and Morty), che non rinuncia a schegge di blasfemia: la giovane protagonista che si rivolge a Gesù solo per capire quali occhiali da sole indossare, per poi spezzare il crocifisso con una ginocchiata entusiasta. Potremmo leggere tutto questo come una strana parabola sui rapporti di potere, con la piccola che controlla l’alieno, il padre impotente affiancato a una moglie emancipata, il fratello che si lascia trascinare dalla sorella. I personaggi femminili ricoprono ruoli di potere che gli uomini possono solo invidiare o da cui lasciarsi cullare. La virilità deve cedere il passo alla forza di una dodicenne, tanto che un mostro alieno non può nulla rispetto all’emancipazione femminile. Il racconto è colpito da mille influenze, ma il tocco personale non manca: Psycho Goreman è un film che non si limita a far sentire la passione per il cinema, ma dove sembra di poterla toccare con mano, tra quelle budella, i mostri improbabili, la carne dei corpi. E’ questo un cinema sgangherato, allucinante, ma al tempo stesso sincero e, soprattutto, dannatamente divertente.