Rabbit
2017
Rabbit è un film del 2017 diretto da Luke Shanahan.
Dopo Good Night Mommy e Jukai si torna a parlare di gemelli, una condizione non così anomala ma tuttavia affascinante ed enigmatica tanto da intrecciarsi con tematiche come la telecinesi e le percezioni extrasensoriali. In Rabbit il fenomeno pseudo scientifico tirato in causa si chiama cryptophasia, una sorta di linguaggio segreto, ce lo dice l’etimologia stessa del termine, utilizzato e compreso unicamente dai gemelli. Schermo rosso sangue. Stacco. Una ragazza corre disperatamente attraverso una foresta, continuando a voltarsi indietro, intenta a fuggire da qualcuno o qualcosa: così si apre il film. Una sequenza d’impatto, ben girata, con una sinistra colonna sonora, insomma il preludio di una visione che mette i brividi. Peccato che non sia così. Si tratta di uno dei tanti incubi che infestano le notti di Maude (Adelaide Clemens), la ragazza che fugge non è lei bensì sua sorella gemella Cleo (interpretata dalla stessa attrice), scomparsa nel nulla qualche tempo prima. Maude ora vive in Germania, dove studia medicina, ma decide di tornare dalla sua famiglia in Australia per far luce sulla scomparsa della sorella. Tutti, compresi i genitori, sembrano aver accettato il fatto che Cleo sia morta, tranne Maude: la telepatia è così forte da procurarle svenimenti improvvisi e allucinazioni che le mostrano Cleo tenuta prigioniera da grotteschi personaggi in una casa sperduta nella foresta. Indizi che la guideranno nella sua estenuante ricerca, assieme a Ralph (Alex Russell), il fidanzato della sorella, e Henry (Jonny Pasvolsky), un detective della polizia ossessionato dal caso.
Primo lungometraggio di Shanahan, parte bene snodandosi su tematiche interessanti un po’ alla Fury, creando un’atmosfera ambigua, enigmatica, un thriller psicologico da cui ci si aspettava una virata horror o per lo meno un twist accattivante. La scrittura, invece, cerca di percorrere la strada sci-fi, impantanandosi in argomenti e personaggi collaterali funzionali ma poco investigati, la sensazione è quella di un puzzle le cui caselle non s’incastrano poi così bene. Una volta giunta nella foresta dei suoi sogni, dove scopre che la sorella è stata avvistata, le allucinazioni di Maude si moltiplicano, finché una mattina si sveglia nella sontuosa clinica di Nerida (Veerle Bautensuna) una melanconica dottoressa che studia assieme al suo team le potenzialità della comunicazione telepatica gemellare. La cryptophasia, per l’appunto, è una dote fantastica da carpire e utilizzare in altri ambiti, per controllare e dirigere menti, la dottoressa né sa qualcosa perché anche lei aveva una gemella. Maude viene sottoposta a sadici esperimenti per elevare al massimo le sue capacità extrasensoriali, acutizzate dalla percezione che a Cloe sia accaduto qualcosa di molto pericoloso… anche la sua sparizione è stata pianificata per studiare al meglio il fenomeno?
Shannan suggerisce più che mostrare. Raccontato così Rabbit sembra fin troppo avvincente, e le basi per esserlo, in effetti, c’erano tutte. Purtroppo tra strambi personaggi al quadrato, musica classica e Mengele in gonnella a fare d’antagonista, tutto è doppiamente noioso, lento e incespicante. Il linguaggio cinematografico è buono ma a rompere il meccanismo è la pretesa di costruire un prodotto attorno al mistero senza riuscire ad infondere tensione, anche quando finalmente (dopo minuti lunghissimi) qualcosa succede. Che cosa c’entra, in tutto ciò, il coniglio? Scopritelo voi stessi, sempre che non vi addormentiate prima…