Red Screening
2020
Red Screening è un film del 2020, diretto da Maximiliano Contenti.
Che la nostra amata sala cinematografica non fosse proprio un sicuro e accogliente posticino ce lo aveva già ben rammentato quel buontempone di Lamberto Bava che, con il suo terrificante Demoni, ha dimostrato quanti orrori si possono annidare tanto dentro quanto fuori al bianco schermo. Ed è appunto oltre i limiti del magico rettangolo dei sogni, fra le fumose e suggestive tenebre della platea, che si cela e agisce l’incappucciato mietitore protagonista del divertente e divertito Red Screening firmato dal talentuoso Maximiliano Contenti, qui al suo vero battesimo del fuoco dopo una lunga gavetta fatta di disturbatissimi cortometraggi e culminata con l’interessante esperienza semi amatoriale di Muñeco viviente V. Ma laddove il buon Lambertone gettava in pasto i suoi poveri spettatori a un’orda di mutanti esseri sovrannaturali, il giovane cineasta uruguayano calsse 1984 affida invece la sua cinematografica mattanza a un umanissimo killer in carne e ossa che, così come il Robert Englund di The Last Showing o il folle pugnalatore seriale protagonista dell’incipit di He Knows You’re Alone, è pronto a dar vita a un personalissimo reality horror show ai danni di un ignaro gruppetto di cinefili incautamente intervenuti per pomiciare e sgranocchiare merendine. Dimentichi del fatto che, così come recita il sottotitolo del noto sequel di un’altrettanto ben nota saga del brivido, L’assassino ti siede accanto, che tu lo voglia o meno.
Proverbialmente distribuito in tempi record grazie agli amici del canale di Midnight Factory, Red Screening – conosciuto al di fuori degli italici confini con l’altrettanto suggestivo titolo di The Last Matinee – è innanzitutto un progetto dichiaratamente nostalgico, dedicato a un pubblico non ancora propriamente attempato ma che ha ben vivo e presente l’odore di sigarette e pop corn caramellati, la scomodità di scassate poltroncine ricoperte di velluto sbiadito e, cosa più importante, lo sfarfallio di immagini proiettate su di uno schermo ben più grande di quello di un tablet o di uno smarphone. Insomma, un vero pubblico da cinema, così come quello che, in un’umida e piovosa mattina di inizio anni ’90 alla periferia di Montevideo, accorre infreddolito nell’unica sala del cinematografo Opera – dov’è esposto in bella vista proprio il poster dell’omonima pellicola argentiana – per assistere alla proiezione di un fantomatico e fittizio Frankenstein: The Day of the Beast. Oltre alla giovane Ana (Luciana Grasso), intervenuta per dare il cambio all’anziano padre proiezionista, tra lo sparuto gruppetto di spettatori spiccano un’infoiata femme fatale desiderosa di sollazzare il proprio verginello accompagnatore, uno scontroso senzatetto con qualche rotella fuori posto, un gruppo di ragazzi a caccia di una sconosciuta sosia di Brooke Shields e un bambinetto imbucatosi di straforo per farsi una scorpacciata di horror e dolciumi. Tutti ovviamente ignari del fatto che in mezzo a loro dimora un misterioso figuro in impermeabile (Ricardo Islas) che pare la controfigura dell’uncinato pescatore assassino di So cosa hai fatto e che, proprio come l’esimio collega di pellicola, pare assetato di ben più di qualche gocciolina di sangue. Anche perché, a ben vedere, ciò che pare gustare parecchio – e letteralmente – al nostro killer sono proprio i tondi e gommosi organi del mestiere cinefilo, cavati fuori senza troppi complimenti dalle proprie vittime e trangugiati avidamente.
Attraverso un gustoso gioco di rimandi meta cinematografici che mettono costantemente in relazione l’orrore su schermo con l’orrore in atto in platea al pari dell’allucinante Angoscia di Bigas Luna, Red Screening mette in scena un simpatico Grand Guignol che si prende tutto il tempo per ingranare con la giusta potenza ed efferatezza, culminando in un climax decisamente morboso nel quale, in un triplice montaggio alternato dalla perfetta sincronia, sangue, sperma e urina finiscono per testimoniare in concerto il fisiologico prodotto delle suggestioni che tanto il film quanto la cruda realtà sono in grado di generare. Se infatti per oltre quaranta minuti nulla di realmente sensazionale sembra accadere nella penombra delle sonnolente poltroncine di questo anonimo cinemino di periferia, oltrepassato il giro di boa ecco che il caro vecchio Contenti può dar finalmente libero sfogo a tutto il proprio sano appetito per il dolore e la carneficina, non prima ovviamente di averci ben annaffiato di una sempre crescente tensione nutrita per lo più da piccoli eventi apparentemente marginali che si susseguono fuori campo o, meglio ancora, sullo sfondo del fuori fuoco. È pur vero che questo innocuo film rivela fin da subito la propria voglia di leggerezza e disimpegno, buttando sapientemente nel cesso ogni pretesa di motivazione o profondità per concentrarsi sul mero succo della questione: un tizio evidentemente sciroccato che, per motivi non pervenuti e men che meno necessari, mazzola allegramente altri tizi nel buio di una sala cinematografica. Punto e basta. Fosse ambientato ai giorni nostri probabilmente Red Screening non sortirebbe lo stesso effetto su di un pubblico abituato a tenere sott’occhio almeno tre schermi al di sotto dei dieci pollici contemporaneamente e capace di chiedere aiuto solo via WhatsApp. Ma proiettando il nostro immaginario in un’epoca no wifi dove ancora serviva gridare per salvarsi la pelle e dove i film venivano visti e non semplicemente intravisti, beh, la storia cambia parecchio.