Rimetti a noi i nostri debiti
2018
Rimetti a noi i nostri debiti è un film del 2018, diretto da Antonio Morabito.
Per compiere il grande passo distributivo nella terra dei maccheroni e dei condoni, Sua Maestà Netflix ha a lungo meditato su quale possibile prodotto posare il proprio spocchioso sguardo, preoccupata più che mai di offrire ai difficili e taglienti palati italici un qualcosa che potesse in qualche modo rappresentare appieno il difficile contesto socio-culturale nel quale il Bel Paese si trova oggi miseramente a sguazzare. E così, dopo l’ottima imbroccata seriale del crime urbano Suburra – La serie – a breve, si spera, bissato dall’ambiziosa incursione stregonesca di Luna nera –, la scelta in materia cinematografica (ma, polemiche festivaliere a parte, ha ancora senso impiegare tale qualifica nell’era dello streaming selvaggio?) è caduta su Rimetti a noi i nostri debiti, crudo e brumoso esempio di (neo)neorealismo urbano, scaturito dalla spietata fantasia di Amedeo Pagani e diligentemente filmato da quell’Antonio Morabito che con Il venditore di medicine (2013) aveva già ben saputo cristallizzare il dilagante mal di vivere di una penisola abitata, in gran parte, da una classe sociale ormai perennemente alienata e penosamente orfana di qualunque propria identità.
Pescando a piene mani dalla fresca e scottante attualità di un’Italia sempre più inguaiata e sempre meno capace di vedere la luce della speranza in fondo al tunnel della disperazione – tranne che per le sporadiche vittorie calcistiche e qualche frivola apparizione da reality show – , Rimetti a noi i nostri debiti mette in scena la kafkiana e dolente (dis)avventura del povero Guido (un Claudio Santamaria non particolarmente in forma attoriale), ex tecnico informatico da poco licenziato dal proprio precario posto di magazziniere e vessato da debiti impossibili da saldare. Nonostante il sincero affetto verso uno strambo professore di origini russe (Jerzy Stuhr) e la timida cotta per la barista Rina (Flonja Kodheli), lo spaesato ragazzaccio, ormai con l’acqua alla gola, decide di schierarsi dalla parte dei suoi stessi aguzzini, offrendosi come “intimidatore” specializzato nella riscossione di ogni tipo di pendenza non saldata, tanto dai ricchi furbastri quanto dai poveri cristi della sua stessa risma. Opportunamente istruito dallo scaltro ed esperto Franco (Marco Giallini immenso come sempre ma ormai a rischio di stereotipo), Guido si trova, suo malgrado, risucchiato nel vortice di un sistema spietato e letale, i cui effetti iniziano a farsi ben presto sentire, mettendolo dinnanzi a una delicatissima questione morale. Per poter entrare nel Sistema, è necessario far entrare un po’ del Sistema in noi stessi. Questo, in soldoni, il succo nudo e crudo che nutre le oneste radici narrative, sbattendo in faccia allo spettatore “medio” (con accezione tutt’altro che denigratoria) una tagliente consapevolezza sociale con la quale, chi più e chi meno, ciascuno di noi si trova oggi a dover obbligatoriamente fare i conti.
La vera questione sulla quale Pagani e Morabito s’interrogano in Rimetti a noi i nostri debiti non verte soltanto sul sacro dilemma riguardo a quale possa essere il vero confine tra vessatori e vessati – o, in questo caso specifico, sul vero valore del “debito” che ognuno contrae –, ma piuttosto sull’asciutta quanto basilare constatazione di come, oggi più che mai, se non si è in grado di combattere i “cattivi”, tanto vale unirsi alla loro cerchia. Ma se nella sua precedente opera d’esordio il cineasta toscano era riuscito a trovare una perfetta alchimia tra essenzialità estetica e profondità drammaturgica – come nella gloriosa stirpe del cinema italiano del dopoguerra –, in questa seconda prova si nota un’evidente mancanza di mordente e di onestà intellettuale nel trattare un argomento così delicato, facendo eccessivamente leva sull’istrionismo recitativo della coppia di protagonisti e cadendo, spesse volte, in una facile retorica da bar che non si mostra assolutamente in grado di maneggiare con la dovuta serietà la bollente patata capitatagli fra le mani. Appesantito da un sostrato di humor vagamente grottesco, che tenta si strizzare l’occhio alle distoniche atmosfere da teatro dell’assurdo, il film non riesce a decollare mai con decisione, rimanendo quasi sempre ancorato al ruvido asfalto della mediocrità e rimandando a tempo indeterminato l’appuntamento con il tanto sospirato successo. D’altronde, come la stessa epopea di Guido c’insegna, chi è causa del proprio mal pianga sé stesso!