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Rodeo

2022
REGIA:
Lola Quivoron
CAST:
Julie Ledru (Julia)
Yannis Lafki (Kaïs)
Antonia Buresi (Ophélie)

Il nostro giudizio

Rodeo è un film del 2022, diretto da Lola Quivoron.

Siamo alla periferia di Bordeaux. Una terra di qualcuno, non di nessuno: appartiene alle comunità autogestite, ai reietti e ai banlieusards. A coloro che stanno fuori dal tessuto sociale e costruiscono gruppi chiusi, composti da esclusi che si reincludono in qualcosa di diverso, con la tenacia e l’orgoglio degli ultimi: tra questi ci sono i motociclisti. O meglio i ragazzi che vanno in motocicletta. Non immaginate infatti la coolness dei bikers a cui ci ha abituato il cinema americano, bensì un gruppo di giovani, bianchi e neri, che vive di piccoli espedienti, furti, fughe dalla polizia perché le moto spesso le ruba. Tra loro c’è Julia (Julie Ledru), ragazza selvaggia in una setta maschile, un tipo difficile allo stato brado, dall’odore arabo, capelli al vento e mai un filo di trucco. Tranne quando deve ordire un inganno nei confronti di un ricco venditore, per cui il film la ridisegna in un’ipotesi grafica alternativa, per mostrare ciò che potrebbe essere, una brava ragazza, una figlia della classe media transalpina. Invece è la straordinaria attrice non professionista Julie Ledru, rivelazione, che recita una parte prossima a ciò che è nella vita, un ruolo non binario, uno dei più forti queer degli ultimi anni.

L’esordio della regista Lola Quivoron, classe 1989, che ha vinto il premio Coup de Coeur nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2022, è un film sui motociclisti ma non è il solito film sui motociclisti. Se tecnicamente si aggiunge alla vasta filmografia delle due ruote, è però in grado di appoggiarsi a essa per poi uscirne e andare verso altre direzioni. Inizia con un esercizio scientifico di naturalismo, i ragazzi e la ragazza, unica donna, che si scontrano verbalmente e si prendono a parolacce nel loro slang come fossero ne La schivata di Kechiche, ormai punto di riferimento per tutto il cinema francofono di stampo naturalista. Poi tratteggia il ritratto di una comunità precaria, che ricorda un altro grande film del nostro tempo, American Honey di Andrea Arnold, capace di inscenare le fragili vite dei venditori porta a porta (confrontare le protagoniste: Sasha Lane e Julie Ledru, molto in comune). Ma siamo in territori diversi, appunto, qui le canaglie in moto si lanciano in gare di velocità sempre più rischiose e devono schivare l’autorità, nique la police come cantava Cut Killer.

Da parte sua, fin dal principio troviamo Julia nella sua asprezza, nell’incertezza esistenziale ed economica, nei drammi della vita al margine: ma poi, appena inforca il manubrio al vento, vediamo il volto che si apre in un sorriso. Lei è questa, questa l’unica dimensione possibile. Sempre nell’incipit, la tragica morte di un ragazzo nero diviene l’occasione per compattare la comunità, stampando il suo viso sulle magliette con cui si corre, ricordandolo come fanno gli ultras: del resto anche i giovani bikers sono ultras di una vita antagonista. Julia è impegnata a sopravvivere nella banda a cui si unisce, alla quale vuole appartenere, e deve essere tosta per farcela: respingere il nome di “troia” inflitto dai compagni, farsi più dura di loro. E compiere i furti, rubare moto in modi sempre più articolati. Un incidente però indebolisce la sua posizione nella gang e la situazione comincia ad avvitarsi. Qui viene il bello: quando Rodeo sembra aver compiuto il quadro definitivo, quando sembra consegnarci “solo” un bel film indie con una protagonista favolosa, ecco la svolta. Il racconto entra nel noir. La dinamica criminale esplode all’improvviso, si lascia il presunto realismo e approda all’astrazione del genere. Il fuoco che Julia ha dentro si materializza, concretizza, e brucia come Ghost Rider in un finale metafisico. L’ultima sequenza è il condensato del noir. D’altronde il noir è da sempre la sonda per spogliare l’animo umano.