Runner
2024
Runner di Nicola Barnaba è un film italiano del 2024, dall’8 febbraio in sala per Plaion Pictures
Noi, e il sottoscritto si mette per primo, abbiamo sempre il difetto di voler scomodare i massimi sistemi, anche quando parliamo di prodotti “di consumo” (definizione aliena da qualunque connotazione negativa). Per spiegare: la produzione attuale, italiana, di genere (ma fino a un certo punto, il discorso vale anche per l’estero) risponde a certe caratteristiche che non sono più quelle del passato, ed è, questa, la scoperta dell’acqua calda. I committenti sono cambiati, il sistema è mutato e mutati sono anche coloro ai quali i film sono indirizzati. Quindi, il giudizio deve tenere conto di tutto questo e, come direbbero i cretini, deve “contestualizzarsi”. Ciò vale per tutti i generi. Vale per l’horror, del quale più spesso ci troviamo a scrivere in queste sedi nocturniane, ma vale anche per la commedia e per il cinema d’azione. Runner di Nicola Barnaba mi pare sia un esempio calzantissimo al ragionamento. Trattasi di un action, che come tutti i congeneri prodotti in Italia, si screzia dei sedimenti del “criminale”, cioè di Romanzo criminale serie e film e di Gomorra. Non importa in quale direzione si vada, né che tipo di sceneggiatura sia stata approntata: qualcosa da quegli archetipi filtra sempre, poiché i summenzionati titoli hanno creato quel che un tempo si sarebbe definito un “nuovo paradigma”. In Runner, abbiamo Francesco Montanari, che fu (e penso resterà per sempre, per tutti: ma è pregio, non demerito) il Libanese di Sollima e tanto basta per agganciarsi al nuovo paradigma, che sempre funziona a condizione che almeno un rimando sia sensibile. Cioè, quella faccia ti dice subito in quale territorio ci si muove: è la nuova regola del gioco.
Qui, Montanari si chiama Bosco, ed è un agente corrotto dell’Interpol, i cui traffici rischiano di venire sputtanati da una ex escort e ora attrice, che ha registrato certe conversazioni prima di mollarlo. La cosa è detta essere successa a Berlino, tempo prima. Ora: il film è strutturato tipo hide and seek o se si preferisce tipo search and destroy, con un modello scopertamente declinato dal regista (e sceneggiatore, insieme a Marco Guerrini), che è Trappola di cristallo (ma è stato speso anche il titolo di Arma letale). L’idea è di riproporre una location unica, chiusa, all’interno della quale il bad cop deve cercare di recuperare il materiale scottante che lo potrebbe inchiodare. Un grande albergo, di sette piani, parte dei quali occupati da lavori di ristrutturazione o qualcosa del genere, è dunque il teatro di battaglia. La fu prostituta e ora attrice Sonja (la ceca Hana Vagnerová) alloggia in una stanza del mega-hotel, poiché sta girando nei paraggi un film, della cui troupe fa parte anche Lisa, Matilde Gioli, impiegata come runner o galoppina che dir si voglia. Le due sono amanti e una sera in cui si apprestano a incrociare le lingue (dopo qualche prima schermaglia erotica: mostrata, e questo è lodevole), in camera di Sonja piomba Bosco, per recuperare la prova che scotta. Lisa è in doccia, nessuno sa di lei. Nella bagarre che segue, Montanari secca Sonja e Lisa si ritrova nel mezzo. Che sappia qualcosa pure lei, che abbia in mano quel che il cattivo sta cercando e che non ha trovato? Adesso comincia, dunque, il film, con la runner che, tenendo fede al proprio ruolo, letteralmente, comincia a correre, a scapicollarsi, a strisciare, a saltare, in lungo e in largo per il labirintico comprensorio. Con dietro Bosco e i suoi uomini, uno dei quali con lui connivente (Vincenzo Scuruchi) e gli altri due (l’ipnotica Flora Contraffatto e Saverio Malara) ignari di avere un duce versipelle.
Barnaba gira bene, fluido, con ritmo, anche nei tempi che si direbbero morti, per cui si arriva alla fine pregiando lo sforzo di reggere l’ora e mezza alternando i pieni e i vuoti in modo coinvolgente. In appoggio, ha la bella fotografia di Andrea Arnone, che coopera a rendere il campo d’azione un luogo alla Escher, con geometrie incasinate e labirintiche, perlappunto. C’è dell’aneddotica disseminata qua e là, come atti dovuti al cinema che si fa oggi: Matilde Gioli trova supporto in una camerierina bella e sordomuta (Ilenia Calabrese) e nei meandri dell’hotel si aggirano degli addetti della security, con a capo Federico Tocci, che reggono la parte dei buoni. Spezziamo anche una lancia sulla battutistica, che va quasi sempre a segno, specie in bocca a Montanari, il quale a un certo punto, apprestandosi a stanare la preda, cita versi che se non sono di Poe, gli somigliano molto. Matilde Gioli (che tra le altre cose fu in Gomorra e quanto al resto ha ormai una ventina di lunghi al suo attivo) assolve perfettamente al compito, anche atletico, richiestole in Runner, prodotto dalla Camaleo di Gabria e Roberto Cipullo con Mario Pezzi. Per cui, concludo per un sì pieno.