Saltburn
2023
Saltburn è un film del 2023, diretto da Emerald Fennell.
Che Emerald Fennell fosse Una donna promettente era chiaro come il sole. Ma davanti ad un film come Saltburn possiamo dire con una certa sicurezza che ogni dubbio è stato definitivamente fugato. Si perché, nonostante il saggio Peter Greenaway da sempre consigli di fidarsi dell’opera e mai del suo autore, quando l’opera seconda che si ha tra le mani rispecchia a tal punto il caustico e dissacrante spirito della propria autrice, beh, allora la fiducia smette di esser tale per trasfigurarsi in vera e propria fede. Ci vuole una discreta dose di connaturata fede nel genere umano per non lasciarsi sopraffare dal cinico e desolante pessimismo esistenziale che ammorba ogni singolo frame delle cattivissime e incattivite Relazioni pericolose che, per oltre centotrenta disturbanti minuti, prendono forma tra le opulente e snobbissime mura di questa Dawnton Abbey al vetriolo. Un film indubbiamente spiazzante, capace di sconvolgere e capovolgere tanto le aspettative quanto le stesse inquadrature, mandando letteralmente a gambe all’aria ogni preconcetto nei confronti di quell’indiscretamente fascinosa borghesia che, Buñuel docet, così come un cancro può essere scardinata solamente dall’interno del proprio molle e pasciuto ventre. Ed è proprio un subdolo corpo estraneo quello che, così come il misterioso settimo incomodo del pasoliniano Teorema, finirà per installarsi tra le ricche grazie dell’inglesissima tenuta di proprietà dell’altolocata famiglia Catton; ben lungi dal voler battere gli abbienti padroni di casa ma, anzi, facendo di tutto per unirsi al loro privilegiato Incubo di una notte di mezza estate.
Un apparentemente timido e solitario novellino di Oxford che risponde al curioso nome di Oliver Quick (Barry Keoghan), il quale, nonostante le umilissime origini e la sfigataggine trasudante da ogni poro della sua tutt’altro che estroversa pellaccia, finirà casualmente – o forse no – per stringere amicizia con il danaroso e popolare Felix Catton (Jacob Elordi), al punto da sviluppare nei suoi confronti un’ossessivamente morbosa Attrazione fatale. Ma sarà proprio il giovane aitante rampollo che, venuto a sapere della tragica morte del tossicodipendente paparino del suo nuovo proletario amichetto, inviterà incautamente quest’ultimo a passare le vacanze estive presso la secolare tenuta di Saltburn, dove avrà modo di fare la conoscenza del patriarca Sir James (Richard E. Grant), della di lui algida consorte Lady Elspeth (Rosamund Pike), della turbolenta sorellina Venetia (Alison Oliver) e del cuginetto scroccone Farleigh (Archie Madekwe). Ed è così che, tra sorrisi di cortesia, battutine sottobanco e reciproche diffidenze, questo nostro mellifluo e manipolatorio Parasite riuscirà a sedurre, con modi e tempi appropriati, ciascuno dei membri di questa facoltosa e disfunzionale brigata, rischiando tuttavia di veder più volte riesumata la marcia verità celata al di sotto del pesante tappeto che avvolge il proprio camaleontico Talento di Mr. Ripley.
Che Saltburn sia un film estremamente cattivo non vi è alcun dubbio. Non certo a livello estetico o tematico, ma poiché proprio della cattiveria e del fascino che essa esercita sembra volerci parlare. Una cattiveria inquietantemente congenita e subdolamente pianificata, la quale pare ribollire sotto le remissive e somaticamente perturbanti sembianze di un Barry Keoghan chiamato nuovamente a vestire i panni di quel kafkiano sfasciafamiglie già incarnato nel lanthimosiano Sacrificio del cervo sacro, lasciando tuttavia da parte qual si voglia sovrannaturale anatema in favore di un lento punitivo gioco al massacro condotto a suon di bugie, allusioni e disarmante accondiscendenza. Un’opera elegantissima nella forma – anche se, forse, ostentatamente autoriale e a tratti persino ridondante – quanto spietatissima nei suoi contenuti: freddamente disturbante così come inquietantemente sensuale nel voler picchiar duro su quell’Indiscreto fascino del peccato che, con buona pace del bricconcello Almodóvar, di grottesco e ironico qui sembra ormai non avere più nulla. Un film di rottura quello che l’impietosa Fennell ci vuole apparecchiare, nonostante il piglio anarchico della sua folgorante opera prima rimanga pressoché intatto e, anzi, ne esca persino enormemente potenziato. Un film che non ha paura di mettersi letteralmente a nudo e, con i propri solidi attributi penzolanti al vento, andarsene spavaldamente in giro a membro duro per ricordarci che, si, il denaro non compra certo la felicità ma, ehi, a che serve essere felici quando si può essere degli impudenti figli di buona donna? Di Una donna promette, sia chiaro…