Sangue del mio sangue
2015
Sangue del mio sangue è un film del 2015, diretto da Marco Bellocchio.
A Bobbio, una suora ha sedotto un prete; viene quindi inquisita per verificare se in lei c’è il demonio. Conseguentemente, al religioso con cui ha giaciuto viene negata cristiana sepoltura: tocca a suo fratello quindi intervenire per seguire il processo alla strega, sperando in una redenzione. Diversi secoli dopo, nelle stesse carceri dove l’inquisizione ha operato, vive segretamente un Conte; la cui esistenza vampirica viene messa in pericolo da un fantomatico artista e miliardario russo che vuole acquistare il fatiscente immobile. Due segmenti, due storie differenti, due progetti addirittura girati in maniera distinta: se la prima parte di Sangue del mio sangue nasceva infatti come cortometraggio, la seconda è stata invece pensata come chiusa necessaria, come concatenamento ineluttabile all’oggi di Bobbio. Il cinema di Marco Bellocchio, quello più puro, selvaggio, primitivo, concettuale, nasce e si sviluppa intorno a un magnifico spaesamento costruttivo: che nasce dalla storia, dalle immagini, dalle intuizioni spesso geniali, sempre profondamente autoriali, dichiaratamente personali, dei suoi film. Ma anche dal senso: un senso filmico, teorico, teoretico, che sembra chiaro durante la visione, ma lascia poi il passo al dubbio, alla perplessità, dopo i titoli di coda, per finire con il sedimentarsi in maniera fortissima e prepotente. Certo è che, al suo 25° lungometraggio, Bellocchio non rinuncia a una cifra stilistica perversamente inquieta e inquietante, onirica e tagliente, per un cinema mai conciliato, mai facile, sempre alla ricerca e richiesta, verso chi guarda, di un contributo di elaborazione. Lasciando da parte Bobbio, la sua centralità registica (lo afferma senza problemi anche Roberto Herlitzka durante il film, “Bobbio è il mondo“), la famiglia artistica e quella del sangue (nel film sono raggruppati volti storici del regista piacentino, dallo stesso Herlitzka fino alla Rohwacher, poi si intrecciano suo figlio Piergiogio e sua figlia Elena e suo fratello Alberto, e ancora Filippo Timi), che sono circostanze e non cause né effetti: Sangue del mio sangue sembra voler rinunciare al passato e guardare al futuro.
Come il Conte decide di morire, come la suora sceglie di essere murata per risorgere in futuro, così Bellocchio sottolinea come il tempo trascorra inesorabilmente, ed è inutile resistervi ma liberatorio cedervi: e in questo Sangue del mio sangue, nel suo segmento più coraggioso, più nuovo e forse ancora più straniante dell’inquieta prima parte, si lancia in una garbata invettiva contro il mondo, contro una società nella quale non si riconosce più (se mai l’ha fatto). Con una inedita vena comica, con uno strazio sempre sottocutaneo e presente; e senza rinunciare a quella ricerca identitaria che consiste nella lotta, sempre presente, sempre lancinante, fra “abnegazione e religione della colpa”, che poi è l’anima del suo cinema e il riflesso in questo del nostro paese. Che Marco vede ancora, e sempre più, schiavo di un potere vecchio, vetusto, annoiato e disinteressato. Soprattutto al disagio psichico: che ha molte facce, e che si aggira -risvegliando la vena più fantastica e/o fantasmatica del regista- nei secoli, fra sogni e superstizione, fra la malattia del vivere e quella del pensare.