Featured Image

Santa Guerra

2022
REGIA:
Samantha Casella
CAST:
Eugenia Costantini (Donna)
Emma Quartullo (Donna nella villa)
Maria Grazia Cucinotta (Moira)

Il nostro giudizio

Santa Guerra è un film del 2022, diretto da Samantha Casella.

In una cornice di rilievo come quella di Venezia79, all’interno dello spazio Ente Fondazione dello Spettacolo dove ha ricevuto il Premio Cinema Italiano (oltre al Premio Tangoo per il Cinema), si è tenuta la prima proiezione ufficiale di Santa Guerra, l’esordio nel lungometraggio della regista faentina Samantha Casella. Un’autrice di notevole spessore artistico (il suo cinema è concepito come Arte totale) che si era già distinta per vari cortometraggi, presentati in numerosi festival internazionali (su YouTube si trovano free Ágape, I am Banksy e To a God Unknow – guardateli), oltre a mediometraggi e documentari, e che con Santa Guerra porta a compimento una sorta di compendio maturato lungo tutto il suo percorso cinematografico. Un cinema forse non per tutti, così criptico, onirico e surreale, ma che è al contempo un cinema dal valore non negoziabile, e che rivela una padronanza assoluta e sperimentale del linguaggio cinematografico, recuperando inoltre il valore primigenio del cinema come arte dell’immagine. Sceneggiato dalla stessa Casella insieme ad Antonio Micciulli (che è anche il produttore per la The Shadows Factory), Santa Guerra è un film ambientato in un non-luogo e un non-tempo, fra una stanza di un bianco abbagliante, una villa spettrale e un bosco inquietante. Una donna (Eugenia Costantini), che all’inizio e alla fine vediamo distesa su un letto in quel grande bianco, è oppressa da un trauma che non riesce a superare: un’antica chiave di ferro trovata dentro una scatola rappresenta un portale che la conduce in un luogo senza tempo, abitato da misteriose figure.  A quel punto, la psiche della donna si scinde in varie parti: una parte di sé stessa (Emma Quartullo) rimane prigioniera della tetra villa, mentre il suo doppio (Ekaterina Buscemi) vaga in un bosco autunnale – cioè l’Ade, l’Inferno – dove si muovono arcane presenze.

La donna continua a muoversi tra queste dimensioni, perseguitata anche da un fantasma, fino a raggiungere – forse – la dolorosa presa di coscienza del suo trauma. Dire di più sulla trama è difficile, poiché regia e sceneggiatura non si muovono tramite concatenazioni logiche di causa ed effetto, ma attraverso la messa in scena paratattica di autentici tableaux vivants. Santa Guerra è un film che non ammette paragoni, tanto intimo e personale quanto surreale e onirico, e che richiede una corposa messa in gioco dello spettatore per l’interpretazione degli innumerevoli simbolismi – dal serpente e la mela di biblica memoria all’uroboro, fino all’orologio e al latte che si mescola col sangue, solo per citarne alcuni – e dei riferimenti colti alla mitologia greca. Al contempo, è un film impregnato di cultura cinematografica, con riferimenti ad autori molto amati dalla Casella come David Lynch (la chiave nella scatola da Mulholland Drive, il pavimento con le righe a zig-zag da Twin Peaks) e Ingmar Bergman (il risveglio della donna da Persona e il grande orologio senza lancette da Il posto delle fragole). La regista, grazie a una produzione seria, ha potuto avvalersi di interpreti di classe, in un cast tutto al femminile: due figlie d’arte, cioè Eugenia Costantini (figlia di Laura Morante) – il cui contributo allo sviluppo del film è stato decisivo – ed Emma Quartullo (figlia di Elena Sofia Ricci), e la partecipazione di Maria Grazia Cucinotta in un ruolo breve ma importante – una delle tre Moire (cioè il destino nella mitologia greca) che vagano nell’Ade. La motrice di tutto è il personaggio (anonimo, come tutti) della Costantini, le cui doti recitative nelle espressioni di dolore e nei monologhi bucano lo schermo, e che si risveglia in questo bianco abbacinante – un obitorio, l’Aldilà, un ospedale psichiatrico?

Le interpretazioni sono innumerevoli, e tutte valide – proiettando poi la sua psiche in varie dimensioni e in varie parti di sé, tradotte negli altri personaggi: la Quartullo, che vaga nella penombra in una villa angosciante e popolata da quadri, oggetti e inquietanti bambole, ed Ekaterina Buscemi, la quale a sua volta ha due ruoli, muovendosi dalla casa alla stanza della cartomante, fino a vagare nell’Ade. Sono tutti frammenti della psiche, dell’inconscio della protagonista, la quale si trova ad elaborare un trauma, un lutto: forse un aborto, come suggerisce l’immagine del latte che sulla pancia si mescola col sangue, o forse la perdita di una figlia, come fa pensare la figura dell’orribile fantasma (interpretato dalla stessa Casella, con un trucco che la rende irriconoscibile). Santa Guerra (un titolo altrettanto libero) è un film sperimentale che pullula di furore artistico, con la potenza dionisiaca delle immagini e delle tetre musiche unita al rigore apollineo della variopinta fotografia (diretta dalla stessa Casella) e della messa in scena, curatissime, grazie anche alle elaborate scenografie di Claudia Drei; e, per chi lo sa leggere come si deve, è un film doloroso, anzi è un film “sul” dolore umano, un film che pulsa di emozioni interiori e in cui ciascuno può riconoscersi. Tutto è la proiezione dell’inconscio della donna, e noi con lei ci troviamo a vivere in un universo onirico – o meglio, in un incubo – dove il tempo si è fermato, come suggerisce l’orologio senza lancette, e dove tutto è destinato a ripetersi all’infinito, come l’uroboro: tutto così intimo, misterioso e psicanalitico, come la “santa guerra” interiore della protagonista.