Scarlet Innocence
2014
Scarlet Innocence è un film del 2014, diretto da Yim Pil-sung.
Amare vuol dire anche umiliarsi, mostrarsi nudi ed impotenti: una forma di sadomasochismo interiore, di sottomissione volontaria. E forse l’unica via per essere amati è proprio questo consapevole martirio, quest’accettazione remissiva della sofferenza (auto)inflitta. Scarlet Innocence è un racconto ibrido, diretto da Yim Pil-sung e recuperato in occasione del Florence Korea Film Fest per omaggiare l’attore ospite della kermesse, Jung Woo-sung. Il motivo non sta solamente nel mostrare il talento di un interprete giustamente celebrato in patria come all’estero, ma anche nell’offrire al pubblico un valido esempio di film trans-generico, spaziante dall’erotico al thriller, dal noir al romance, e che sviluppi tematiche molto care al cinema coreano in modo sorprendentemente originale. Non va sottintesa, inoltre, la regia ispirata di Pil-sung che, con un sapiente alternarsi di luce e tenebra, riesce a trasmettere nell’immagine la complessità del soggetto. Il professore Hak-kyu (Jung Woo-sung ), sposato con una figlia piccola, è stato travolto da uno scandalo sessuale che ha messo a repentaglio la sua brillante carriera. Ritiratosi in un piccolo paesino in attesa che la situazione si risolva, si divide tra la stesura del suo nuovo romanzo e un corso di scrittura creativa per adulti.
Lì però incontra Deok-yi (Esom), una giovane ragazza del posto con cui inizia una relazione clandestina. Dopo la decaduta delle accuse rivoltegli, l’uomo decide di fare ritorno in città, abbandonando Deok-yi ad un triste destino. Ma la loro storia è ben lungi dall’essere finita. La prima parte di Scarlet Innocence si conclude qui, dopo un idillio sentimentale ed erotico destinato dall’inizio a rompersi. “Ti piace?”, sussurra Hak-kyu durante l’amplesso. “Mi piace quello che piace a te”, gli risponde Deok-yi, che, candida ed ingenua, si fa spogliare, stringere e penetrare. L’unirsi dei corpi già comunica un grigio sentore, così come il paesaggio prima illuminato dai bianchi alberi di ciliegio va pian piano incupendosi. La purezza della giovane sedotta ed abbandonata è svanita e farà spazio ad un doppio crudele, in un secondo tempo dove la sete di vendetta la farà da padrona e gli equilibri di forza si capovolgeranno inevitabilmente. Ma, come spesso accade nel cinema orientale, la strada è tutt’altro che diritta e senza fermate. Mentre assistiamo alla parabola del professore, dal tanto rincorso successo personale alla decaduta fisica e morale, pregustiamo l’ingresso in scena della donna che visse due volte, glaciale ed ambigua come Kim Novak, pronta a mettere in atto il suo disegno.
La citazione hitchcockiana non è solo un omaggio, essa viene costruita narrativamente con estrema sagacia, rendendo ancora più credibili i dubbi di Hak-kyu sull’identità della donna, oltre alla bravura dell’interprete Esom nell’impersonare due figure antitetiche e all’apparenza inaccostabili, tanto da convincere di essere davvero davanti a due attrici diverse. Di fronte allo spietato gioco vittima-carnefice che i due protagonisti intraprendono, si stenta a non vedere i personaggi di contorno come invasivi, anche se va ammessa la loro funzione, come quella della figlia ormai adolescente del professore, Chungee (So-young Park), pronta a subentrare decisamente nella vicenda per disvelare il vero colpo di scena, quello in cui anche la maschera più convincente cade. In un paesaggio di nuovo dominato da una luce nivea e in un finale struggente, Scarlet Innocence ci ricorda che la purezza può essere contaminata ma mai cancellata. E che, come da titolo, l’innocenza ha molte sfumature.