Senza rimorso
2021
Senza rimorso è un film del 2021, diretto da Stefano Sollima.
«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via». Quando vidi più di un mese fa Senza rimorso (e da allora non l’ho rivisto perché lo ricordo come fosse ora: strano, stranissimo nell’universo delle cose assolutamente volatili dell’oggi) ebbi un’impressione apocalittica. Un film apocalittico, che comincia in una locazione che è la Terra ma non lo è: è la Aleppo siriana, ma è in realtà, in irrealtà, anzi, uno skyline che potrebbe essere l’inferno o il purgatorio o il limbo. Una di queste cose. Senza rimorso comincia in questo mondo fuori dal mondo, in uno spazio livido. Jordan e gli altri della sua squadra estraggono un ostaggio da quel posto e volano via, dopo avere ammazzato. Ma il fuoco dei mitragliatori e il baluginio del coltello tagliagole, colpisce meno di quei colori persi, dentro i quali comincia questo action di acqua e di fuoco: nel senso che Jordan esce dalla prima con il secondo di sfondo. Come Giovanni Battista, che battezza con l’una e con l’altro. Quello che siamo venuti a vedere, appunto.
Stefano Sollima è l’unico noto, oggi, al mondo, in grado di fare cinema d’azione che abbia un senso e una misura. Fuori da Sollima vedo soltanto l’insopportabile tracotanza e l’enfasi di quelli che girano action come se stessero mettendo mano a riduzioni di Heidegger o la puerilità e l’infantilismo del resto. Est modus in rebus, c’è una misura nelle cose. La distanza giusta e necessaria per pensare l’azione in termini di calcolo ma anche di pathos. Sollima ce l’ha. Punto. Ce l’ha sia che giri a Ostia, a Scampia, sul confine Usa Messico o nel Nord della Confederazione, dove va a finire il plot di Senza rimorso, in una grandissima seconda parte che è la cronaca di un assedio incredibile, tra le geometrie alla Escher di una palazzina russa, di notte, dentro la quale esplodono proiettili che arrivano da ovunque e dal Nulla. Without Remorse è, sulla carta, il titolo di un romanzo di Tom Clancy che con quanto scritto da Taylor Sheridan e da Sollima e da quest’ultimo messo in scena, non c’entra niente. Ci sono giusto i nomi. È tutta questione di black ops che si incastrano l’una con l’altra e stritolano la moglie e la figlia che porta ancora in pancia, del protagonista, Jordan, il quale appena uscito da Aleppo entra diritto in un altro inferno. Ma il film non è banalmente un revenge movie. La vendetta di Jordan dura giusto lo spazio di una sequenza. Poi, da lì in avanti, scatta il meccanismo che cercherà di ingoiare lui e i suoi compagni mettendoli su un aereo silurato dai caccia russi e poi rinchiudendoli nel caseggiato-trappola di cui sopra.
Il film è pieno di scene girate da dio, cioè da Sollima, sulle quali è tempo perso fermarsi per iscritto e vanno viste. Se c’è bisogno di andare per considerazioni astratte su qualcosa che è proprio del film, allora insisterei sulla maniera di definire il protagonista che è alieno dal superominismo proprio del genere per come lo si intende oggi nei grandi numeri e per gli occhi delle masse amorfe. Jordan, al netto dell’essere una macchina di morte, nel film di Sollima è prima di tutto un combattente che fa fatica. Arranca e va via via sfiorando il collasso, a misura che spara e squarcia. Cioè, il pugnace è temperato e definito dall’umano. Non è una cosa così scontata, ripeto. E se mi salta negli occhi, qualcosa vorrà pure dire. Comunque, i puristi clancyani e quelli che vorrebbero insegnare a Sheridan come si scrive una sceneggiatura, escono con le pive nel sacco. Quelli che non hanno materia filosofica sulla quale eiaculare i loro inchiostri, idem. Noi, invece, godiamo.