
September 5
2024
September 5 è un film del 2024 diretto da Tim Fehlbaum.
Il 5 settembre 1972 un commando terroristico palestinese, Settembre Nero, fece irruzione all’interno degli alloggi degli atleti israeliani presenti a Monaco per partecipare ai giochi olimpici. Dopo aver ucciso due di loro, ne presero altri nove in ostaggio per poi chiedere il rilascio di oltre 200 detenuti palestinesi entro le ore 09:00. In caso contrario, sarebbe stato assassinato un ostaggio all’ora. Al sopraggiungere della notizia la troupe televisiva ABC Sports, lì presente per i giochi, si mise subito all’opera per garantire la copertura mediatica della crisi, prontamente inviando reporter per tracciare gli accadimenti, falsificando documenti e negoziando l’orario di programmazione per una diretta televisiva che sarebbe stata tristemente destinata a mutare la storia. Questo è ciò di cui si occupa September 5, diretto dal regista svizzero Tim Fehlbaum e presentato a Venezia lo scorso anno. Applicando le dinamiche filmiche di All the President’s Men di Alan J. Pakula a Munich di Steven Spielberg, Fehlbaum ci rammenta che il conflitto israeliano palestinese attualmente in corso ha radici ben più
profonde e contorte di quanto potremmo aspettarci. I personaggi che muovono il racconto sono Roone Alredge (Peter Sarsgaard), Geoffrey Mason (John Magaro), Marvin Bader (Ben Chaplin) e Marianne Gebhardt (Leonie Benesch), responsabili della troupe televisiva che, fra errori e acute strategie, tenterà di affrontare la crisi degli ostaggi.
Costoro appaiono convincenti nei ruoli e riescono a trasmettere su schermo timori e responsabilità professionali: sappiamo esattamente chi ricopre il ruolo di presidente della troupe, chi di responsabile delle operazioni e chi di regista. Nonostante inciampi sullo stesso sasso di All the President’s Men e non fornisca informazioni sulla vita personale dei protagonisti, il film si preoccupa di rendere lo spettatore ben conscio di ogni decisione presa e delle conseguenze che essa porta con sé, in un mosaico di fallimenti e compromessi che avrebbe avuto un riverbero fino ad oggi. I quattro interpeti rispecchiano perfettamente la gravità delle loro parti, coadiuvati da una regia claustrofobica e dai toni da Kammerspiel che configura gran parte dell’intreccio all’interno del solo edificio di controllo dal quale la troupe gestisce l’evolversi della crisi. Prevalentemente girato con macchina a mano e incorniciato da un montaggio sostenuto, September 5 sfodera un’incessante tensione da thriller che fa apparire esigui i suoi 95 minuti di durata, nonostante il racconto ricopra per intero il corso del massacro, fino alla sua tragica conclusione.
Fehlbaum tratta lo spettatore come se fosse egli stesso un giornalista del team, mettendolo al corrente degli accadimenti, grazie alle comunicazioni degli inviati e alle televisioni della sala di controllo, che illuminano i personaggi di una luce ambigua in contrasto con la predominante oscurità dell’edificio. Esaminando con cura l’etica giornalistica, i turni inumani e l’evento da un punto di vista televisivo, più di quanto non si faccia con la situazione socio-politica della Germania del periodo, Fehlbaum amplia il caso di Monaco, riflettendo sull’impossibilità intrinseca dell’essere umano di discostarsi dall’utilizzo della violenza per raggiungere i suoi obiettivi, ripetendo di continuo gli stessi errori commessi nel corso della storia e che sono infine sfociati in disastrose guerre. La speranza è che opere come September 5 possano servire da monito, come lo sono state altre pietre miliari della cinematografia nei confronti delle tragedie cui si riferivano, per ricordare all’umanità l’ipocrisia della violenza e che ogni azione, seppur minima e a distanza di decenni, ha le sue conseguenze.