The Signal
2014
The Signal è un film del 2014, diretto da William Eubank
A pochi giorni dall’uscita di Blade Runner 2049, attesissimo sequel del capolavoro di Ridley Scott del 1982, abbiamo ripescato dalla memoria della fantascienza The Signal, un film passato quasi inosservato. Forse perché appartenente a un filone di film di genere a basso costo, che trovano vetrina ed estimatori giusto al Sundance. Eppure la pellicola del giovane regista yankee William Eubank, ha un valore a sé, che esula dalla trama stretta del film stesso, dalla sua confezione formale, dall’interpretazione più o meno buona del semi-sconosciuto virgulto Brenton Thwaites. Perché il pregio principale di questo lungometraggio è quello di rimettere sotto i riflettori una riflessione tanto cara alla fantascienza postmoderna di cui proprio Blade Runner fu il capostipite e che faceva da spartiacque fra le distopie degli anni Settanta e un nuovo approccio sulla condizione umana. Parliamo di contorni etici sfumati, realtà destrutturata, bene e male, alto e basso non più separati da un confine netto. Insomma, rientrano in sala Deleuze e Lyotard, ma soprattutto si torna a interrogarsi di quale sia la vera realtà e si dibatte del binomio naturale-artificiale. Diciamo subito che The Signal non è affatto un capolavoro e piuttosto mescola una serie di temi e trovate già viste, sia a livello narrativo sia di espedienti scenici o idee tecnologiche; un patchwork che spazia dagli alieni a Matrix e che chiude furbescamente con un colpo di scena. Eppure ha una cifra di originalità proprio perché sovrappone e ripropone e può essere come un quadro pop i cui elementi, presi singolarmente sono delle ripetizioni, assieme sulla tela acquistano un significato originale.
La trama. Jonah, Nic e Haley, studenti del MIT, intraprendono un viaggio per portare Haley in California. La ragazza soffre di distrofia muscolare e questo sta deteriorando i rapporti con Nic. Mentre fanno tappa in un motel, sono agganciati da un haker dal nome in codice NOMAD, che gli fa intuire di essere in Nevada. Il nascondiglio è di strada, per questo i tre non resistono ad andare a stanarlo. Quando arrivano sul posto, sono vittime di un incontro ravvicinato del quarto tipo. Al risveglio, si ritrovano in un centro di ricerca sotterraneo, dove Nic è interrogato e messo sotto pressione dal Dott. Wallace Damon (Lawrence Fishburne). Sia il dottore che tutto il personale indossano sempre delle tute integrali. Sollecitato dalla voce dell’amico Jonah, che riceve da un pertugio nella sua camera, dal risveglio dal coma di Haley, ma soprattutto dalla tremenda scoperta che gli sono state amputate le gambe e sostituite con due arti bionici, Nic organizza la fuga. Ritrovano anche Jonah e scoprono che anche lui è ora un cyborg. Hanno Damon alle calcagna, in uno scenario desertico che fa pensare ai tre di essere nei dintorni della famigerata Area 51.
Fino all’epilogo, quando Nic si trova davanti all’unico ponte che gli consentirebbe di fuggire, presidiato da un posto di blocco dove capisce che Damon altri non è che l’hacker, letto al contrario. Tuttavia, sfruttando la velocità supersonica che gli garantiscono le nuove gambe, Nic riesce a superare il blocco e sfonda una parete invisibile. Ritrovandosi in un’altra struttura si rende conto che la realtà “naturale” in cui era immerso fino a pochi istanti prima era il vero artificiale. Damon gli va incontro e si toglie il casco, rivelando che anche lui non è umano ma un robot alieno e il protagonista fa ancora qualche passo per raggiungere una finestra e vedere al di là di quella nuova gabbia, scoprendo che… Non roviniamo la sorpresa, ma diciamo soltanto che il taglio dell’happy end classico che ha falcidiato quasi sempre il genere fantascientifico negli ultimi anni, finalmente lascia il posto almeno a un epilogo aperto e interpretabile, che tanto ci riporta indietro proprio agli interrogativi di un Deckart in fuga con Rachel di un quarto di secolo fa.