Skinamarink
2022
Skinamarink è un film del 2022, diretto da Kyle Edward Ball.
Sembra strano a dirsi ma, in un certo qual modo, far paura è un a forma d’arte. E come ogni manifestazione artistica, anche la paura, soprattutto quando invade il grande e piccolo schermo, proviene spesso dai sogni dei propri creatori. Oppure, come Goya e Füssli ci hanno insegnano, qualche volte anche dai loro incubi. Ed è proprio a partire da una terrificante allegoria onirica radicata nelle profondità dell’infanzia di un visionario autore come Kyle Edward Ball che lo stranissimo progetto di Skinamarink ha potuto prendere vita, generando un originalissimo e fascinosamente indecifrabile esperimento audiovisivo non meglio identificato, imparentato a stretto giro più con i fumosi lidi della videoarte. Un’avvolgente e, a suo modo, sconvolgente esperienza di visione, capace di riprendere quel raggelante meccanismo della paura dell’attesa codificato dall’ipnotica estetica a circuito chiuso del seminale Paranormal Activity e fondendolo con il tipico gusto per l’esplorazione della fissità tipico di grandi autori underground come Chantal Akerman, Mark Snow e Stan Brakhage. Abbandonandosi interamente al trasognato e perpetuo mood alla base di questo inquietante e oscuro incubo freudiano, sembra infatti di trovasti dinnanzi ad un insolito anti-film dell’orrore di cento minuiti girato quasi per gioco da un redivivo Andy Warhol, concentrato nell’allentare e dilatare sino all’estremo il tessuto spazio-temporale dell’inquadratura, al punto da svuotare ogni singolo fotogramma da ogni elemento narrativo.
Ed è in un certo senso un film inquietantemente vuoto questo Skinamarink, delimitato nell’arco di un’unica terrificante nottata vissuta nell’angusta topografia di un’anonima abitazione – la stessa dimora di gioventù del regista – nella quale ogni cosa sembra svolgersi nella fumosa Twilight Zone del fuoricampo. Una geografia domestica interamente bagnata da una fredda e tenebrosa luce lunare, esplorata attraverso un lento montaggio di ansiogene inquadrature dal basso capaci di rivelare soltanto alcune enigmatiche porzioni architettoniche. Ma ecco che, in tutta questa apparente vuota desolazione, il distorto universo senza spazio né tempo di Skinamarink così tanto desolato non appare affatto, come dimostrano le sibilline e indistinte voci di un padre (Ross Paul) e dei sui due bambini (Lucas Paul e Dali Rose), anch’essi relegati nella terra di nessuno che sta oltre il bordo schermo, intenti a imbastire brevi e criptici discorsi riguardanti un non ben precisato incidente domestico e un’altrettanto eterae madre (Jamie Hill) continuamente evocata ma mai concretamente palesata. E, in verità, neanche i restanti inquilini di questa desolata terra di nessuno riescono mai ad essere catturati nella loro interezza, preferendo far percepire la propria presenza tramite mani, piedi e teste che invadono a sorpresa l’inquadratura come fossero insidiose entità fantasmatiche assolutamente prive di volto e, dunque, di identità.
Ma, esattamente come in un sogno a scoppio ritardato, ben presto la già sfilacciata trama della realtà inizia pericolosamente a disfarsi ancor più, nel momento in cui porte e finestre cominciano inspiegabilmente a cambiare collocazione o, peggio ancora, a scomparire nel nulla, rendendo dunque prigionieri i nostri incauti Hansel & Gretel di un ultraterreno limbo spazio-temporale che tanto assomiglia al perenne loop di oscurità che pendeva, come una sovrannaturale spada di Damocle, sul penrosiano manicomio di ESP – Fenomeni paranormali. E come se non bastasse, mentre la già sinistra abitazione inizia a incarnare sempre più i perturbanti connotati di quelle escheriane Backrooms tanto care all’universo creepypasta , qualcuno o, meglio, qualcosa sembrerebbe pazientemente attendere acquattato fra i tenebrosi e disturbati pixel di quella viscida video-Oscurità, ribollente come un nugolo di affamati scarafaggi, nel cui profondo pozzo la fantasia può davvero partorire i suoi più vividi mostri. È dunque un’esperienza decisamente unica nel suo genere quella offerta da Skinamarink: un film che definire tale fino in fondo appare, forse, decisamente inopportuno. Un film che potrà piacere o scontentare in egual misura e intensità ma che, così come assicurato dal suo stesso visionario autore, una volta spente le luci e ficcata la testolina sotto le coperte, nel solitario buio di una qualunque cameretta continuerà insidiosamente a compiere il suo sporco, viscerale e traumatizzante lavoraccio.