
Skincare
2024
Skincare è un film del 2024, diretto da Austin Peters.
È dai tempi del caustico Nero bifamiliare che il buon Federico Zampaglione ci rammenta come L’erba del vicino, proprio quella ironicamente decantata dal pazzo Joe Dante, quasi mai si riveli essere la più verde. E anche quando tale sembra apparire, beh, state pur sicuri che qualcosa di marcio sta certamente covando al di sotto del terriccio. Una lezioncina che il giovane Austin Peters – forte di una corposa e solida gavetta a suon di videoclip musicali – pare aver ben introiettato con un cinico e impietoso esordio come Skincare. Un paranoico e corrosivo concentrato di Cattiverie a domicilio che, pur senza la kafkiana spietatezza di un Lanthimos, il grottesco mozzicare di un Östlund né tantomeno il tagliente (sur)realismo di un Kristoffer Brogli o di una Jessica Hausner i suoi colpi bassi sa egualmente ben bene come e dove assestarli. Colpi inferti a una TikTok Culture e a una Make-Up Generation nella quale, come si sul dire, se belli si vuol apparire un bel po’ si deve (far) soffrire, giusto? È infatti una storia di Torbide ossessioni imbellettate da un leggero rimmel coeniano quella che vede protagonista la tosta e fascinosamente attempata Hope Goldman (Elizabeth Banks): intraprendente e, almeno finora, indiscussa regina della cosmesi all’ombra di Hollywood; fresca fresca di succosa intervista con il rinomato The Brett & Kylie Show e già pronta a lanciare la sua nuova chiacchierata linea di bellezza al fianco dell’amica e socia Marine (MJ Rodriguez).
Il sogno di una vita apparentemente perfetta – frutto a sua volta della narcisistica ossessione per uno status fragile e fittizio quanto la stessa materia di cui sono, per l’appunto, fatti i sogni – il quale verrà tuttavia ben presto minacciato dalla venuta di un nuovo fetentissimo competitor della porta accanto. O, meglio, della clinica di fronte. Quella stessa clinica nella quale l’aitante Angel Vergara (Luis Gerardo Mendez) s’installerà a tradimento; giusto in concomitanza con il palesarsi di una misteriosa serie d’inquietanti eventi che inizieranno pericolosamente a intaccare la reputazione così come la vita privata della nostra signora incontrastata Imperatrice del Fondotinta. Oscuri messaggi minatori, perturbanti notifiche di una voyeuristica videosorveglianza, vigliacchi furti d’identità atti a diffondere sconcissime fake news e pure qualche bel pneumatico tagliato alla maniera mafiosa saranno solo alcuni dei non meglio identificati attacchi rivolti a una povera Donna promettente che, per dirla alla Haneke, non sembra avere in realtà Niente da nascondere. Una Donna sull’orlo di una crisi di nervi che, a dispetto di un più che propositivo nome proprio, la Speranza – così come la pazienza e la conseguente salute mentale – inizierà progressivamente a perderla sul serio. E se a mettere in atto questa sordida concorrenza sleale fosse proprio quel nuovo Enemy venuto da lontano? Bella domanda. Anche se, in una camaleontica e fumosa tragicommedia letteralmente truccata da divertissement come Skincare, le apparenze, così come le persone, finiscono spesso per ingannare.
Ma non è certo un inganno quello perpetrato dall’ottima mano registica di Peters e dalla tagliente penna da lui stesso condivisa con Sam Frelich e Deering Regan; entrambe impegnate a dar corpo a uno sfaccettassimo e ansiogeno racconto di umane obsessions – per altro ispirato a un nerissimo fattaccio di cronaca che vide protagonista nel 2013 l’ex estetista delle star Dawn DaLuise – nel quale l’iniziale black humor finirà progressivamente per tingersi sempre più consistentemente di duro e puro thrilling. Un film, dunque, decisamente più nero di un noir in senso stretto. Un film fatto di superfici – epidermiche, architettoniche, specchianti e tecnologiche – ma mai, per nessuno dei suoi incalzanti novanta minuti, minimamente superficiale. Un po’ ridondante forse sì; specialmente nella sua parte centrale. Ma superficiale no di certo. Un’opera nient’affatto perfetta – così come, d’altronde, tale non è la sua paranoica protagonista, a dispetto delle creme e altri intrugli che ne mascherano la corruttibile e fallimentare natura – che parte, dunque, dalla superficie per scendere sempre più in profondità in quel tormentato animo umano che, proprio come il proverbiale praticello di qui sopra, spesso appare verdeggiante qualora si butti un occhio al vicinato ma che, in realtà, cela al di sotto il più sozzo e marcescente letamaio. Ma d’altronde “non importa come, l’importante è che se ne parli” giusto? Che poi sarebbe un po’ come dire che la cattiva pubblicità, in fondo in fondo, non esiste; men che meno in un epilogo spietatamente agrodolce, seppur dal fiato un poco corto, come quello offerto da Skincare.