Sleepless Beauty
2020
Sleepless Beauty è un film del 2020, diretto da Pavel Khvaleev.
Nella terra dello zio Putin devono essere messi davvero malaccio, cinematograficamente parlando, se un prodotto come Sleepless Beauty ha il coraggio di essere sdoganato ai quattro venti come il degno erede del fu Martyrs. Un’immonda bestemmia filmica che, in un mondo equo e giusto, costerebbe sane sessioni di diarrea cronica a chiunque abbia anche solo osato mettere su carta una tale indecente affermazione. E non è per cattiveria innata o per qualche forma di assurdo preconcetto, sia chiaro. Semplicemente il nuovo parto del solitamente onesto e talentuoso Pavel Khavaleev è robetta da evitare come il parmigiano sulla sogliola. A meno di non voler sadomasochisticamente incappare in ottantatré minuti di un annacquatissimo trap movie sobrio tanto quanto un mormone alla serata di punta dell’Oktoberfest, infarcito qua e là da spruzzi di surrealismo grafico che vorrebbero apparire scioccanti ma che riescono solo a renderci ancora più antipatico questo stramaledettissimo baraccone.
Tempo neanche cinque minuti e infatti Sleepless Beauty inizia a risultare fin da subito pericolosamente indigesto, mettendo in scena l’ennesima tizia (Polina Davydova) rapita da una non ben precisata organizzazione denominata “Recreation” e gettata nell’ennesimo bunker di bianco piastrellato per essere sottoposta, in diretta streaming, a un ennesimo sadico esperimento sociale. Questa volta si tratta di privazione del sonno e una serie di sessioni intensive di realtà virtuale che, manco a dirlo, avrebbero come scopo quello di svalvorare completamente la nostra inerme cavia umana, fino a portala a sviluppare doti fisiche e mentali assolutamente fuori dall’ordinario. E così, mentre il tutto viene apparecchiato appositamente per il sadico e spippolante pubblico del dark web, un ombroso e risoluto detective (Evgeniy Gagarin) tenta di sbrogliare il bandolo di questa intricatissima matassa, la quale sembra avere come machiavellico ultimo fine l’accoppamento di un importante ambasciatore fresco fresco di divorzio.
Credendosi un po’ il The Manchurian Candidate del sottobosco horror ma rimanendo ingolfato nella lurida pellaccia di un Saw di quint’ordine, Sleepless Beauty rispecchia pienamente la natura del devastante esperimento sociale a cui viene sottoposta la sua stessa protagonista: un’interminabile tortura fisica e psicologia che lo stesso spettatore si trova a dover subire senza possibilità di fuga per un’oretta che pare per lo meno il doppio. Una sorta di sadica cura Ludovico aggravata dalla volontà di buttarla ben presto di fuori grazie all’introduzione di sequenze gratuitamente lisergiche modello Quay Brothers che vorrebbero apparire disturbanti ma che, nella scalcinata economia generale, risultano soltanto come l’ennesima nota stonata di uno spartito davvero mal congegnato eseguito con pochissima ispirazione. Dopo gli oscuri rituali popolari di III – The Ritual e la devastante regressione darwiniana di Involution, pareva proprio che il buon Khvaleev non potesse davvero sbagliare un colpo, avendo scovato a tempo record una propria onestissima e suggestiva dimensione a metà strada fra genere e autorialità. Ma si sa, i cinematografici figli della madre Russia sono pieni fino al midollo di sorpresine, la maggior parte della quali foriere di ottime speranze ma altre, come in questo caso, sgradevoli come un termosifone dritto dritto sui denti.