Slice
2018
Slice è un film del 2018, diretto da Austin Vesely.
A pensarci bene le cazzate sono un po’ come un bel trancio di pizza fumante, gustoso, fragrante e furbescamente progettato per non saziare mai. Perciò, da questo punto di vista, Slice non evoca soltanto nel proprio nominativo la suddetta carboidratica fetta ghiotta a grandi e piccini, ma ne incorpora appieno la natura di alimento ipercalorico e laidamente trivial-popolare, costituendosi come una goliardata cinematografica demenzialmente trash e appositamente apparecchiata per cervelli in formalina avviati al più sincero svacco. Preso necessariamente atto della sua delirante ossatura, la horror comedy irriverentemente imbastita e filmata dall’esordiente Austin Vesely, pur mantenendosi pesantemente radicata nella vaccaggine più assoluta, finisce curiosamente per divertire, non fosse che per la totale mancanza del ben che minimo briciolo di coerenza e seriosità che, uniti a una veste grafica estremamente eterogenea debitrice ancora una volta dell’immancabile mood anni ’80, costituiscono gli ingredienti tutto sommato riusciti di un bislacco minestrone audiovisivo da consumarsi tutto d’un fiato con il solo rischio di qualche sporadica indigestione.
Giocando abilmente fin dal titolo con slang, turpiloqui e capriole grammaticali da pura screwball comedy casereccia 3.0 – dove per l’appunto Slice si riferisce tanto al suddetto trancio di pizza quanto al mortal fendente d’ordinanza degli slasher movie –, la paccottiglia visiva concepita da Vesely ci proietta nelle rocambolesche disavventure di un gruppo di impavidi fancazzisti a stelle e strisce (tra cui spiccano in prima linea il rapper Chance The Rapper, l’irriverente Zazie Beets e il delirante Hannibal Buress) intenti a indagare maldestramente sulle strane ed inquietanti morti di un folto gruppo di fattorini, orribilmente uccisi durante la solita consegna serale di pizze a domicilio. Ma chi è il vero responsabile di questi atroci delitti? Vampiri? Lupi mannari forse? Oppure qualche morto vivente particolarmente inquieto? Saranno i nostri eroi con parecchie macchie (di unto) e altrettanta paura a dover dipanare il mistero, cercando il più possibile di non farsela letteralmente addosso nel mezzo di situazioni tanto surreali e grottesche da mettere a dura prova la proverbiale sospensione d’incredulità spettatoriale. Intendiamoci: se fosse capitato fra le pazze grinfie di uno come Kevin Smith Slice avrebbe certamente potuto acquisire ben altro spessore. Invece, tra le dita ancora forse troppo inesperte e frementi di Austin Vesely, esso non può andare oltre a un intrattenimento di serie Z profondamente intriso del profumo parodistico dei vari Scary Movie e American Pie ma faticosamente arrancante nel mantenere il tutto coeso fino ai titoli di coda.
Certo, non si può che ridere – anzi, forse solo ridacchiare – alle battutacce d’infimo ordine che fuoriescono profusamente dalle bocche di tre quarti dei personaggi, così come la ratatouille di live action, animazione fumettistica ed estetica da videoclip anni ’90 regge bene almeno fino allo scadere della prima mezz’oretta, finendo poi, a lungo andare, per risultare fastidiosamente stucchevole e, a tratti, persino inutile. Già bastano le sconclusionate e volutamente incredibili trovate narrative in stile Peter Jackson dei primordi a destabilizzare a sufficienza l’orientamento del buon guardone, quest’ultimo disposto a sorbirsi praticamente di tutto una volta compresa l’aria ribelle e senza freni che tira alla base dell’intera operazione. Un soggetto del genere avrebbe certamente potuto solleticare a suo tempo gli appettiti filmici di gente come Burton, Zemeckis o il Carpenter più bambinesco, ma ai giorni nostri esso non può che apparire parecchio fuori tempo massimo e necessariamente votato allo sbracaggio più libero e selvaggio. Alla fine dei contri però Slice non può essere né glorificato né disprezzato più di tanto, poiché, nel corso dei suoi onesti ottantatré minuti di durata, riesce a ingolosire, tradire, intrattenere, divertire e annoiare senza soluzione di continuità, confermandosi come un tipico take away da consumarsi caldo per poi essere evacuato a fine visione senza alcun rischio di intasamento intestinale.