Southpaw – L’ultima sfida
2015
Southpaw – L’ultima sfida è un film del 2015, diretto da Antoine Fuqua.
Era l’eventone di Locarno, quello di cui avevano parlato tutti bene a prescindere, soltanto per via di quella specie di locandina con Jake Gyllenhaal incazzato come un mulo, faccia pesta e sanguinante, muscoli steroidati di un palestrato. Un pugile deve soffrire, spurgare liquidi, martirizzarsi per la vittoria. Dopo Rocky e i suoi fratelli è il minimo che il pubblico si aspetti. E invece niente, Antoine Fuqua, che ha al suo attivo diversi film commerciali di un certo rilievo come The Equalizer (2014) o Training Day (2001), la butta in caciara dopo neanche venti minuti, un combattimento pestaduro e qualche carezza da letto alla moglie. Gyllenhaal è un boxeur ricco più di Creso, ha dei bei tatuaggi, una consorte perfetta (Rachel McAdams, misure da bottiglia di Coca, mutandine leopardate) e una figlia piccola super intelligente.
Un giorno succede il patatrac: a una festa di beneficenza la moglie si prende un proiettile nella pancia e muore. Lei tarantola, sussulta, boccheggia; lui la consola, urla e si dispera. Gli altri guardano, l’ambulanza non arriva, tutto molto melodrammatico. Il pugile perde d’un botto i suoi tanti milioni (ma come fa?), il manager passa alla concorrenza (il rapper 50 Cent; ma perché?) e gli assistenti sociali gli sequestrano la figlioletta (ma in base a cosa?). Seconda scena cult: i due vogliono abbracciarsi in tribunale, ma quei manigoldi dei poliziotti portano via la bambina e ramazzano il padre. Non vi preoccupate, però: quando Gyllenhaal ha ormai toccato il fondo, ecco Forest Whitaker, allenatore dall’occhio sbirulo, che gli tende la mano per farlo pugilare in una palestra per negri. Zucchero. Miele. Morale a stelle e strisce. Riuscirà il nostro eroe a scalare la vetta, a riconquistare il titolo e la fiducia della figlia? Certo che sì. E i combattimenti? Roba già vista, un po’ di sangue, qualche sberla, una craniata.
Testosterone, creatina, addominali scolpiti, l’armamentario è sempre quello. Il corpo di Gyllenhaail dovrebbe ricordare quello di Cristo, il ring la via crucis, ma Southpaw – L’ultima sfida di Fuqua è una patacca pensata per un pubblico di sbarbatelli, procede per affabulazione e scopiazza il peggior Van Damme prendendosi terribilmente sul serio. E tutta questa etica della vittoria (la kalokagathia, la chiamavano gli antichi greci: l’essere al contempo belli e buoni) è peggio di un calcio nei coglioni. O di un montante sul grugno.