Spell
2020
Spell è un film del 2020 diretto da Mark Tonderai.
“Andrà tutto bene. Penserò io a curarti. Io sono la tua ammiratrice numero uno”. Una frase gentile, che può scaldare il cuore. Ora però immaginatela pronunciata da Kathy Bates, occhi da pazza, inquietante, mentre siete inermi e distesi in un letto. Le dolci parole diventano spaventose e non è solo per questa ambiguità che Misery, libro di Stephen King prima e film di Rob Reiner poi, è un gioiello del thriller psicologico. Un gioco al massacro mascherato da atto d’amore, la lotta dell’uomo contro l’angelo della morte, preda di un’emotività disturbata, borderline e assassina. Il nuovo film di Mark Tonderai, regista di Hates – House at the End of the Street, è innegabilmente legato a Misery ma cerca di scartare la palese parentela con l’aggiunta di un pizzico di soprannaturale, tirando in causa l’hoodoo e la magia del folklore americano. Arte occulta di stampo popolare, infatti, l’hoodoo si sviluppa principalmente nelle comunità afroamericane, ma il suo carattere sincretico porta alla presenza di praticanti di etnie differenti. Tutto questo fornisce la base su cui poggia Spell.
Scritto dal Kurt Wimmer di Equilibrium e Ultraviolet, il film di Tonderai è interpetato da Omari Hardwick (Kick-Ass, Power) nel ruolo di Marquise T. Woods, avvocato ricco e di successo che durante un viaggio in aereo con la sua famiglia precipita sugli Appalachi. Diretto al funerale del padre, Marquise si risveglia ferito e solitario, nella soffitta di una casa nei boschi, dove a vegliare su di lui trova Eloise (Loretta Devine) e suo marito Earl (John Beasley). Purtroppo l’ospedale è distante e non c’è il telefono, l’unico modo per andarsene e cercare la famiglia dispersa è riprendersi grazie alle cure amorevoli e al cibo di Eloise. O forse no? Se è vero che Spell si trasforma in un “Misery con la magia”, è altrettanto vero che sia graziato da buone interpretazioni, su tutti la splendida Loretta Devine e un John Beasley in formissima. Pregno di riferimenti alla questione razziale, classista e al passato di schiavitù nera, il film segue indubbiamente la scia della significativa crescita del cinema horror afroamericano, per quanto non riesca mai a reggere il confronto con opere come Scappa – Get Out. Il problema principale è dato da uno script stereotipato, per quanto tensivo, che utilizza cliché visti fino alla nausea.
La classica comunità rurale, o montana, di lanciatori di incantesimi/sciamani/cultisti/indemoniati che tra occhi di gatto, corna di capra e sangue di vergine cercheranno di scoprire letteralmente la veridicità della frase “io sono bello dentro”, è ormai un elemento tanto abusato da non capire più se lo stereotipo vuole essere criticato oppure reiterato. Ed è un peccato, perché se si riesce a superare lo scoglio del déjà-vu e di un’angoscia a tratti mitigata da scelte registiche e di scrittura discutibili, quello che si ha tra le mani è un film standard, ma sicuramente interessante. Spell, in fondo, ha dalla sua un’onestà intellettuale invidiabile: non promette più di quello che riesce a dare. E quello che dà, soprassedendo ai difetti, è suspense, atmosfera macabra e a tratti grottesca, sangue, tensione e qualche scena decisamente efficace. È un film indimenticabile? Purtroppo no. Ma un’ora e mezza di svago, quello ve lo regala senza troppi sforzi.