Spencer
2021
Spencer è un film del 2021, diretto da Pablo Larraìn.
Spencer, il nuovo film del cileno Pablo Larraìn in concorso a Venezia78, prosegue in un certo senso quanto l’autore aveva fatto nel 2016 con Jackie, un intenso ritratto di Jacqueline Kennedy nei giorni successivi all’assassinio del marito. Sotto il suo sguardo personale finisce questa volta Lady Diana Spencer, una delle principesse più amate della Storia recente, moglie del Principe Carlo e nuora della Regina Elisabetta. “Una favola tratta da una vera tragedia”, recita l’incipit: una frase che coglie il significato più intimo del film, nel quale la realtà storica viene continuamente mescolata con l’invenzione cinematografica. Motivo per cui, Spencer si innalza al di sopra del semplice biopic per diventare una fiaba nera (quasi gotica, anche per le scenografie), un ritratto intimo, partecipato e a tratti onirico di un personaggio così tormentato e complesso. Larraìn si affida alla sceneggiatura del britannico Steven Knight (il creatore di Peaky Blinders), e ambienta la vicenda durante le vacanze di Natale del 1991, quando l’intera famiglia reale inglese si riunisce nella tenuta della Regina a Sandringham, nel Norfolk. Al consueto ritrovo partecipa anche Diana (Kristen Stewart), Principessa del Galles, il cui rapporto col marito, il Principe Carlo, è diventato teso per la sua relazione con Camilla Parker Bowles. La donna viene accolta con calore soltanto dai figli, e con freddezza da tutti gli altri membri della famiglia reale, mentre il severo maggiore Alistar Gregory la sorveglia: Lady Diana è sull’orlo di un esaurimento nervoso, e trova conforto solo nella domestica personale Maggie. Costretta a vivere in un mondo che non sente come suo, inizia ad essere perseguitata dal “fantasma” di Anna Bolena – la regina fatta decapitare secoli prima dal marito – e si dimostra insofferente verso le etichette regali. Infine, la Principessa parte coi figli alla volta di Londra, sempre più decisa a divorziare dal Principe Carlo.
Come si diceva all’inizio, Spencer è al contempo una favola e una tragedia, una storia reale che si mescola continuamente e inscindibilmente con momenti di invenzione cinematografica. La vera storia di una Principessa triste, ribelle al Potere, una donna che non sopporta il suo ruolo e non vuole sottostare alle rigide etichette della famiglia reale, è mescolata a una dimensione fantasmagorica e a personaggi immaginari come il maggiore Gregory (un inquietante e spettrale Timothy Spall) e la domestica Maggie (Sally Hawkins), che le confessa il suo amore per lei. Fin dal titolo, Larraìn indica una precisa presa di posizione, che fu anche quella di Lady Diana: “Spencer”, un cognome che suona come una presa di distanza dalla famiglia reale per rivendicare la propria autonomia e libertà, a cominciare dal legame con la casa d’infanzia che torna più volte nella vicenda, e nella quale a un certo punto si avventura alla ricerca del suo passato. Per tutto il film, Lady Diana – a cui dà vita una bravissima e intensa Kristen Stewart, truccata in modo da rendere un’incredibile somiglianza col personaggio storico – è descritta non tanto come una Principessa, ma soprattutto come una donna, con tutte le sue azioni quotidiane, opposte alle rigide formalità: Diana si strafoga di cibo, vomita, piange, ride, gioca coi figli, fa la doccia (inquadrata di schiena) e si masturba, come dice a una cameriera. Mentre in cucina fervono i preparativi per pranzi luculliani, nel tetro e immenso castello si consuma la sua triste solitudine in una prigione dorata, circondata da volti lugubri e mummificati, fra una cena silenziosa e un dialogo in cui Carlo (Jack Farthing) la invita a scindersi fra vita pubblica e privata: insieme a lei, proviamo un forte senso di claustrofobia e oppressione, accentuato da una macchina da presa che le sta sempre addosso e la segue tra i saloni, le camere e i corridoi con carrelli dall’eleganza kubrickiana, a supporto di scenografie lussuosissime.
Già provata da un matrimonio in crisi e da un esaurimento nervoso fra anoressia e bulimia, il suo stato mentale viene messo definitivamente in crisi dal ritrovamento di un libro su Anna Bolena, la regina che fu fatta decapitare dal marito: un personaggio con cui si identifica, tanto da esserne perseguitata dalle allucinazioni in un crescendo onirico. Rispetto alla sfavillante psichedelia del precedente film Ema, qua Larraìn utilizza una fotografia (a cura di Claire Mathon, collaboratrice di Céline Sciamma) più sfumata e pastellata. C’è poi un’attenzione certosina agli elegantissimi costumi (in particolare a quelli di Lady Diana, dai tailleur colorati al lungo vestito bianco con strascico) e alle musiche: le quali risuonano in modo dissonante e fastidioso durante l’opprimente permanenza a Sandringham, per poi sfociare nel finale, montato in modo sempre più frenetico e sognante, in una scatenata e liberatoria musica pop-rock, cantata a squarciagola insieme ai figli (i suoi unici affetti) mentre fugge in auto verso la liberta. Larraìn coglie così una funzione primigenia del cinema, quella di far sognare lo spettatore.