Starry Eyes
2014
Starry Eyes è un film del 2015, diretto da Kevin Kolsh e Dennis Widmyer
Mai come in quest’epoca la faustiana decisione di vendere l’anima al Demonio in cambio di una scalata sociale si presenta come l’unica iniziativa vincente. Ancor più se parliamo del patinato mondo hollywoodiano pronto a divorarsi per colazione l’ingenua ragazzetta di turno arrivata lì per tentar fortuna, un mondo crudele in cui sopravvive solamente chi ha fatto dell’arrivismo sociale la sua morale. Anche Sarah (Alex Essoe), la protagonista di Starry Eyes, sembra giunta a questa conclusione. ormai stufa di dover guadagnarsi da vivere sculettando in uno squallido fast food di Los Angeles mentre cerca d’inseguire il suo vero sogno di diventare attrice. Finalmente la proposta decisiva arriva: un provino per una misteriosa casa di produzione interessata alla realizzazione di un horror dal titolo “The Silver Scream”, Sarah viene selezionata come potenziale protagonista, ma per guadagnarsi la parte deve dimostrare di esser pronta a tutto, inginocchiandosi ai piedi del produttore. Nei giorni successivi qualcosa di raccapricciante ha inizio, il suo corpo inizia letteralmente a marcire e l’aspirante attrice capirà di aver stipulato un patto a sua insaputa. Morire o accettare la metamorfosi?
Secondo lungometraggio (dopo Absence) scritto e diretto da Kevin Kolsh e Dennis Widmyer, Starry Eyes fu presentato in anteprima al SXSW Film Festival del 2014. Si tratta di un horror indipendente finanziato in parte da una raccolta fondi tramite Kickstarter. Alex Essoe è perfetta per rivestire i panni di una fragile e a tratti nevrotica ragazza pronta a seguire le sue ambizioni e sebbene abbia un fanciullesco fascino efebico alla Jessica Harper, il suo personaggio è tutt’altro che positivo: la natura delle sue ambizioni nasce dallo snobistico bisogno di differenziarsi dai suoi amichetti squattrinati con i quali condivide il sogno dorato, una condizione ricca di frustrazioni che la inducono ad auto punirsi. In nome della dea cagna del successo la povera Sarah accetta qualsiasi stramba condizione le si palesi: prima il provino a corpo nudo davanti a due strani selezionatori, poi l’incontro con il mefistofelico produttore che senza convenevoli le mette una mano tra le cosce. Personaggi con una percettibile aria inquietante che mette a disagio un po’ come i vicini di Polanski in L’inquilino del terzo piano, soggetti dal sinistro sorriso che hanno a che fare con l’occulto e che vedono in Sarah un verme pronto a trasformarsi in una farfalla.
La prima parte di Starry Eyes descrive perfettamente la distruzione psicologica di un essere che desidera far parte di un’élite da cui viene scartata a priori, condizione che la obbliga a condividere la propria vita con persone da lei giudicate mediocri che nonostante tutto la deridono in continuazione; la seconda parte colpisce come uno schiaffo improvviso descrivendo duramente la distruzione fisica della protagonista, una sorta di decadimento alla Dorian Gray riadattato all’epoca del gore: sequenze dure che fanno da preludio a un inaspettato macello. La metamorfosi ha inizio e i due registi ce la mostrano attraverso un’atmosfera affascinante che fonde glamour e potere oscuro, il verme deve uccidere e seppellire la sua vecchia vita per poter risorgere in una stella. Sangue, vermi e frustrazione descrivono perfettamente l’industria dello spettacolo, un mondo che sovente richiede sacrifici più brutali di quelli perpetuati da qualsiasi setta esoterica, perché oltre a distruggere vite decreta l’inevitabile e irreversibile morte dell’arte.