Stati di allucinazione
1980
Un Ken Russell allucinogeno, in bilico tra scienza e fantascienza: un viaggio all’origine del mondo e della follia…
Tutto ebbe inizio verso la fine degli anni Cinquanta, quando un neuro-psichiatra americano, tale John Lilly, convertì una vasca per lo studio dei sommozzatori in una sorta di incubatrice della mente umana. Stiamo parlando della così detta vasca di deprivazione sensoriale, ovvero una struttura sigillata, priva di illuminazione e riempita di acqua tiepida, all’interno della quale il medico conduceva i suoi soggetti che, trovandosi in uno stato di totale isolamento fisico ed emotivo, entravano in una profonda fase di rilassamento. In qualche caso dottore e paziente venivano a coincidere, perché Lilly diresse su di sé i propri esperimenti, prima affondando nella cisterna e partorendo allucinazioni (effetto collaterale degli studi), quindi assumendo regolarmente ketamina e sostanze analoghe (pare che abbia utilizzato tale farmaco per ventun giorni consecutivi, somministrandoselo in dosi di 50 mg ogni ora).
Gli studi dell’eccentrico dottore stimolarono l’immaginazione di uno scrittore, Paddy Chayefsky, che nel 1978 pubblicò, appunto, Stati di allucinazione, suo primo e ultimo romanzo. Un paio di anni dopo, la Columbia si interessò del progetto, chiamando lo stesso Chayefsky a sceneggiare il futuro film, e Arthur Penn a dirigere. I due litigarono presto, e Penn abbandonò l’impresa, esattamente come la casa produttrice che si tirò indietro, cedendo il tutto alla Warner. La scelta cadde su Ken Russell che, per quanto battibeccasse con Chayefsky, condusse in porto l’operazione, manipolando il nome dell’altero sceneggiatore in un anonimo e neutrale Sidney Aaron. Il risultato è un cacciucco fantascientifico con venature horror e grottesche, difficile dire quanto volute (sembrerebbe questo uno dei motivi alla base del dissidio Russell-Chayefsky). William Hurt al suo film d’esordio ci fa comunque una bella figura, interpretando uno scienziato folle disposto a immolare se stesso e la propria incolumità sull’altare della scienza. Immerso a lungo nella vasca di deprivazione sensoriale, le droghe che gli scorrono per le vene, l’uomo arriva in un primo momento a modificare la propria conformazione genetica, mutandosi in un pitecantropo carnivoro. Quindi, aumentando le razioni di allucinogeni, la trasmutazione investe anche l’anima, lo spirito o l’essenza dell’uomo: il suo corpo si fa infatti pura energia, eterea e impalpabile sostanza che trascende la materia e l’umanità intera, giungendo alla sua origine divina, al big bang cosmico, alla broda primordiale da cui tutto avrebbe avuto inizio. Confondendo il prima e il dopo, i concetti di realtà e di spazio-tempo.
Le implicazioni filosofiche sono tante e complesse e, se non fosse per il finale campato per aria e per qualche scena abbastanza idiota (lo scimmione che starnazza per il sotterraneo, bastonando poliziotti e inseguendo le caprette di uno zoo), il film scorrerebbe liscio e impeccabile, soprattutto grazie agli effetti speciali di David Domeyer e Chuck Gaspar. Basti pensare al corpo di William Hurt che si deforma, si gonfia e muta il proprio aspetto, in bilico tra Alien, L’ululato e un’opera di Bacon. Tra le curiosità, ricordiamo una giovanissima Drew Barrymore (è lei la figlia del dottor Jessup), nonché la nomination all’Oscar come miglior colonna sonora nel 1981.