
Steppenwolf
2024
Steppenwolf è un film del 2024, diretto da Adilkhan Yerzhanov.
Il cinema del kazako Adilkhan Yerzhanov si nutre di paesaggi che spesso disorientano il pubblico occidentale, abituato a confini ben percepibili e topografie urbane (ma anche naturali) rigidamente definite. Gli orizzonti di Steppenwolf, invece, sembrano vasti quanto il cielo, mentre le città – se davvero possiamo definirle tali – sono grumi di edifici diroccati, ultimi avamposti di un’umanità che ha ceduto alla barbarie. D’altra parte, qual è il contesto in cui si dipana la storia di
Tamara (Anna Starchenko) e Brajyuk (Berik Aitzhanov), il detective che l’aiuta a cercare suo figlio? Viene naturale ricondurlo a un immaginario preciso, quello post-apocalittico di Mad Max: una terra di nessuno dove i tutori della legge non sono meno violenti di chi la infrange, e il loro potere si sbriciola davanti a un gruppo ben armato. È proprio ciò che accade all’inizio del film, quando un manipolo di uomini prende d’assalto il quartier generale della polizia, e Brajyuk viene interrotto mentre sta torturando un prigioniero. Yerzhanov, insomma, lo mette subito in chiaro: nel mondo di Steppenwolf non ci sono eroi, protagonista compreso. Tamara, donna dall’aria semi-catatonica che si esprime a sussurri, gli chiede aiuto per trovare il figlioletto rapito, e Brajyuk accetta dietro la promessa di una ricompensa economica. A guidarlo, però, ci sono anche motivazioni più personali.Vincitore del TOHorror Fantastic Film Fest 2024, e ora disponibile in DVD per Blue Swan, Steppenwolf riesamina il tema imperituro della vendetta, già affrontato da Yerzhanov nel precedente Goliath. In scenari di desolazione metafisica, si consuma una violenza ancora più spaventosa per la sua freddezza: Brajyuk accumula cadaveri con un distacco quasi straniante, disumanizzando i nemici fino alla completa reificazione dei loro corpi. «Il bene non serve a niente» dice il detective a Tamara, dando voce allo stesso nichilismo che governa le sue azioni. È un antieroe disilluso, ormai traviato dalla follia del mondo; non a caso, si abbandona a comportamenti grotteschi nei momenti più inopportuni, come ridicoli passi di danza, vocine canzonatorie o scherzi osceni. L’apparente passività della donna gli fa da contraltare, generando un dualismo improbabile ma potente, simile a un teatro dell’assurdo in cui corruzione e innocenza camminano insieme.
Eppure, il regista kazako è consapevole del suo mestiere: sa bene che la rappresentazione della violenza implica una responsabilità gravosa, e non se ne sottrae. Non estetizza le scene d’azione, non gli interessa mettere in scena coreografie plastiche o traiettorie balistiche armoniose. Anzi, talvolta la ferocia resta fuori campo, se ne vedono gli effetti più che l’esecuzione. Steppenwolf racconta la vendetta per quello che è veramente: un affare sanguinario, dove non c’è alcuna redenzione né catarsi finale. Pur ereditando qualcosa sia dal cinema degli anni Ottanta (le musiche elettroniche) sia dal western americano contemporaneo (il brutale cinismo di un S. Craig Zahler), Yerzhanov problematizza maggiormente la violenza e le sue ripercussioni a lungo termine. Non soltanto sugli esseri umani, ma anche sul vuoto ambientale in cui vivono: da salvare non è rimasto niente, se non quell’orizzonte sconfinato che si estende fuori dalla porta.