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Sulla mia pelle

2018
Titolo Originale:
Sulla mia pelle
REGIA:
Alessio Cremonini
CAST:
Alessandro Borghi (Stefano Cucchi)
Jasmine Trinca (Ilaria Cucchi)
Max Tortora (Giovanni Cucchi)

Il nostro giudizio

Sulla mia pelle è un film del 2018, diretto da Alessio Cremonini

Ci sono film che vanno visti indipendentemente da ciò che raccontano. Film che possiedono un certo valore intrinseco, un’autonomia esistenziale che li rende straordinariamente indipendenti dall’eventuale “cronaca” da cui, in un modo o nell’altro, essi derivano.  E, guarda caso, si tratta quasi sempre di quei film sui quali l’olezzo della polemica cresce rigoglioso come l’erba matta settembrina. Parlare di Sulla mia pelle senza prendere le mosse dall’arcinota e contestatissima epopea umana e giudiziaria di Stefano Cucchi sarebbe certamente un imperdonabile peccato d’ingenuità. Tuttavia la pellicola diretta con sorprendente (e dolente) maestria da Alessio Cremonini possiede l’inusuale capacità di poter tranquillamente vivere di una propria vita cinematografica, come solo le (poche) grandi opere hanno sempre saputo e, in misura tristemente più contenuta, ancor oggi sanno fare. Ancor prima che oggetto di spietati e romanzati assalti mediatici da pornografica cronaca nera nazionale, il Cucchi incarnato (e scarnificato) da un sofferente Alessandro Borghi è, semplicemente, un ragazzo. Nulla più e nulla meno. Un giovane tossicodipendente romano come tanti altri, in piena lotta con i propri demoni, con una propria storia e un proprio vissuto a cui è stato inequivocabilmente perpetrato qualcosa di non molto chiaro e, purtroppo, fatale.

Poco importa se per mano di medici negligenti, poliziotti dal manganello facile o chissà quale altra oscura forza avversa. Sta di fatto che qualcosa deve per forza essere accaduto se il giovane, dopo una chiacchierata custodia cautelare e un altrettanto discusso ricovero ospedaliero, è passato all’atro mondo con un corpo di appena trentasette chili orribilmente ricoperto di lividi ed ecchimosi.  Ed è appunto sulla pelle che dà il titolo al film che il Cucchi di Cremonini porta il marchio che lo ha gettato in pasto alle fauci dell’opinione pubblica e dei suoi subdoli mezzi di (dis)informazione, generando un autentico polverone di Stato i cui reflussi si fanno ancor oggi sentire più vivi che mai, grazie soprattutto ad amici e parenti che non si sono fortunatamente ancora arresi dinnanzi alle zoppicanti spiegazioni (e relative assoluzioni) proferite dai diretti interessati. Gli ultimi sette giorni di vita sulla terra del giovane “delinquente” vengono messi in scena attraverso un’estetica e una narrazione che non possono che essere definite – in senso più che positivo – “minimaliste”, uno stile al contempo neorealista e fassbinderiano che non lascia posto a sbrodoloni barocchi o sdolcinati sensazionalismi ipocriti.

I dialoghi sono asciutti e taglienti tanto quanto la fotografia e il montaggio, i climax drammaturgici ridotti rosselinianamente all’osso e ciò che davvero conta lasciato proverbialmente all’immaginazione fuori campo dello spettatore. Stefano Cucchi non è qui dipinto certamente come un santo o un eroe, anzi! È un essere tormentato, scartavetrato di ogni tipizzazione o stereotipo, risultando a tratti persino antipatico, quasi come alcuni degli splendidi ragazzi perduti dell’Amore Tossico  di Caligari. Se poi i personaggi di contorno, come la sorella Ilaria (Jasmine Trinca) e il papà Giovanni (Max Tortora) appaiono decisamente bidimensionali non fa nulla, in quanto essi non hanno alcun altro scopo se non quello di supportare e sostanziare l’universo attorno a colui che davvero conta nell’economia del racconto. Ma se Sulla mia pelle non vuol certo sputare sentenze o prendere posizioni al di fuori di quelle che i fatti accertati hanno spietatamente messo d’innanzi ai nostri occhi negli ultimi agguerriti nove anni, è altrettanto ovvio che un qualche giudizio in merito bisogna pur farlo saltar fuori, accantonando per un attimo le pedanti polemiche dei poteri forti e gli inutili sensazionalismi festivalieri. E, forse, per una volta, sarebbe proprio il caso di collegare il cerebro all’epiglottide, almeno per non rischiare di proferire le ennesime proverbiali cazzate da bar sport domenicale dinnanzi a un film decisamente molto bello su di una storia decisamente molto brutta.