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Suntan

2016
REGIA:
Argyris Papadimitropoulos
CAST:
Makis Papadimitriou (Kostis Makridis)
Elli Tringou (Anna Anagnostou)
Hara Kotsali (Alin)

Il nostro giudizio

Suntan è un film del 2016, diretto da Argyris Papadimitropoulos.

L’uscita nelle sale italiane di Suntan il 13 luglio 2023, sette anni dopo la sua realizzazione, si inserisce nella rassegna Greek Weird Wave 10 a cura della Trent Film, che porta al cinema alcuni film della nuova onda greca sconosciuti o sottovalutati, quelli che non sono Yorgos Lanthimos: a breve arriveranno Miserere, storia di un uomo che ama essere compatito, e L, storia di un uomo che vive in macchina, entrambi diretti da Babis Makridis. Il primo tassello è invece affidato proprio a Suntan (Abbronzatura), firmato dal regista Argyris Papadimitropoulos, nome impronunciabile che infatti poi non fu più pronunciato, dato che il successivo Monday del 2020 non ebbe visibilità né riscontro particolare.  Suntan segue la parabola di un medico, Kostis, quarantenne sovrappeso e semicalvo incarnato magnificamente in Makis Papadimitriou: un uomo che si è lasciato andare, di cui non conosciamo il passato ma che apprendiamo per cenni essere reduce da una vita sentimentale fallita e devastata, che l’ha ridotto com’è ora. Egli arriva nella piccola isola di Antiparos per ricoprire l’incarico di medico di base: se durante l’anno tecnicamente non fa un cazzo, crogiolandosi tra i paesani e qualche birra in un eterno giorno della marmotta, nel mese d’agosto esplode l’estate. Kostis è chiamato agli straordinari per sostenere l’invasione dei turisti, invece fa la conoscenza della ventenne Anna (Elli Tringou), una ragazza disinibita che sta lì in vacanza con gli amici.

La routine del protagonista cambia radicalmente: invitato a unirsi a loro, comincia a uscire coi giovani e assorbire le loro abitudini tra nudismo, bevute, droghe e lunghi festini che a volte finiscono in orgia. Il problema è che Kostis viene baciato da Anna e se ne innamora perdutamente…Il film di Papadimitropoulos offre l’occasione per tornare sul nuovo cinema greco, a quindici anni da quell’onda ormai da tempo esaurita, che vedeva al timone gente come Lanthimos, Athina Rachel Tsangari, lo sceneggiatore Efthymis Filippou, e faceva impazzire festival e cinefili di mezzo mondo. Spaccando anche il giudizio. I detrattori, infatti, accusavano la cricca ellenica di cinismo, di sguardo gelido, dell’incapacità di provare empatia verso i personaggi. In tal senso Miss Violence di Avranas fu la punta dell’iceberg per i custodi dell’etica, per i crociati contro il presunto cinismo. Ma l’empatia è forse obbligatoria? Certamente no, e i greci dimostrarono in un’epoca paludata che esiste un’ipotesi alternativa, un altro modo di fare, un cinema di rottura e di crisi (economica, ma non solo) che non sia per forza legato alla pacificazione finale e al sentimento positivo. Un cinema “stronzo”, insomma, e per questo a tratti esaltante.

Suntan in realtà fa un passo di lato rispetto ai numi del movimento, nel senso che a tratti riscalda lo sguardo e il suo racconto pone un problema spinoso, in sé non provocatorio ma vero e complesso: lo scorrere del tempo. Kostis non ha più l’età per fare serata e mescolarsi coi ventenni, eppure non ha avuto una giovinezza compiuta quindi la insegue fuori tempo, concretizzandola nella forma chimerica di Anna, una bella ragazza che vuole divertirsi, scopare senza impegno, una normale post-adolescente di oggi. Dopo l’iniziale idillio etilico, il contrasto tra loro si fa più sfaccettato di quanto sembri: se Anna lascia intravedere delle possibilità, seppure solo erotiche (la scena di sesso con ejaculatio praecox), dall’altra parte Kostis si invaghisce di lei senza tenere conto della differenza d’età e di carne. Sì, di carne. Perché è un film che affonda tremendamente nella carne, scolpendo la contesa insanabile proprio sulla pelle e nel corpo: sin dalla sequenza in cui il medico si spalma ridicolmente la crema solare sul viso, mentre la turista si tuffa nuda liberando la vagina, che sfiora perfino il volto dell’uomo. C’è una differenza tra i venti e i quaranta, così è, punto e basta: il film lo mostra crudelmente ma anche con “giustizia”, consapevolezza, il cinismo è scientifico perché riguarda la tenuta del corpo. La carne molle di Kostis e la linea sinuosa di Anna non possono stare insieme. Se poi ci mettiamo che il dottore scivola gradualmente verso lo stalking e accusa segni di disturbo mentale, ecco che nel finale la situazione si incarta… “L’abbronzatura è una cosa bellissima – dice il regista – ma anche pericolosa e svanisce rapidamente, proprio come la giovinezza”.