
The Alto Knights – I due volti del crimine
2025
The Alto Knights è un film del 2025 diretto e prodotto da Barry Levinson.
Un uomo scende da un taxi, entra in un palazzo, saluta il portinaio e si dirige verso l’ascensore che lo porterà alla sua abitazione. Poco dopo viene chiamato per nome da un secondo uomo che, avvicinatosi di soppiatto, commette omicidio ai danni del primo. Questo l’incipit di The Alto Knights, film del 2025 diretto da Barry Levinson, che dopo un periodo di gestazione di alcuni decenni, ha finalmente messo piede nel circuito di distribuzione su grande schermo. Ora invertiamo il percorso del protagonista e sostituiamo la figura del sicario con un veicolo colmo di tritolo: otterremo così la scena iniziale di Casino, gangster movie di ben differente risma diretto da Martin Scorsese e co-scritto da Nicholas Pileggi, qui di nuovo in veste di sceneggiatore. Paragone effimero, si intende, ma che ben si presta a delineare i tratti di un film, quello di cui sto scrivendo, mai in grado di distinguersi all’ombra dei giganti che l’hanno preceduto. Il soggetto segue l’evoluzione della faida tra i boss della malavita newyorkese Frank Costello (Robert De Niro) e Vito Genovese (ancora Robert De Niro), amici d’infanzia che il peso di due caratteri diametralmente opposti ha portato alla guerra aperta. Dopo il tentato omicidio ai danni di Costello, naturalmente commissionato dal rivale, ripercorriamo l’ascesa dei due protagonisti come malavitosi dal proibizionismo e la fuga di Genovese in Italia al suo ritorno dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Riprendiamo poi dagli eventi degli anni ‘50, quando un Frank Costello miracolosamente sopravvissuto alla rivoltella di Vincent Gigante (Cosmo Jarvis), tenta in ogni modo di lasciarsi alle spalle il suo passato da boss della malavita per ritirarsi a vita privata. L’intera vicenda è raccontata dallo stesso Costello, che anni dopo il termine del conflitto si ritrova a pensare ai “bei vecchi tempi” al cospetto di un proiettore di diapositive, in una sorta di confessione ai posteri. In un atto di cronaca italo americana, quella di Levinson risulta un’operazione modesta, sofferente di un ritmo caotico e di un De Niro, qui, all’ombra di sé stesso. Il montaggio impresso all’opera appare fin dall’inizio serrato, dando al racconto un ritmo eccessivamente sostenuto che, nella seconda metà, inspiegabilmente si distende in passaggi che si trascinano faticosamente verso l’epilogo. Montaggio, peraltro, piuttosto disordinato nella sua frequente giustapposizione di materiale found footage, deciso a reiterare la veridicità degli eventi ma che non garantisce il mordente richiesto. La manovra di casting circa la doppia performance di De Niro è certamente una strategia intrigante ma che si traduce, purtroppo, in una prova attoriale non particolarmente ispirata per ambedue le parti e che si arresta a semplice ammirazione.
Quello che ci appare è un De Niro spossato e sottrattivo, osteggiato dal trucco posticcio applicatogli per la giusta affinità a Vito Genovese che ne limita ulteriormente l’espressività. Siamo ben lontani dalla malinconica coscienza leoniana di Noodles e dalla dirompente verve di Jimmy Conway, maschere che hanno contribuito a consolidare il nostro come uno degli interpreti più preziosi del mezzo. Oltretutto, il racconto si attiene per lo più ad una formula largamente proposta dalla quale la cifra stilistica di Levinson spesso fatica ad emergere, esponendo argomenti raramente originali e che insistono sul contesto temporale del soggetto. Ciò di cui sopra delinea i tratti di una ricostruzione storica indubbiamente ben congegnata, ma che deficita dell’audacia necessaria a renderla efficace nella contemporaneità.