The Amusement Park
1975
The Amusement Park è un film del 1975, diretto da George A. Romero.
Quando si ha a che fare con un film misterioso o ritenuto perso, il rischio è quello di avere aspettative superiori all’effettiva realtà. Ma questo non è il caso di The Amusement Park, il film di George A. Romero considerato perduto per anni, poi ritrovato e restaurato nel 2020 dalla Fondazione americana dedicata al regista di Pittsburgh: un mediometraggio (52 minuti scarsi nel formato Dvd) geniale, grottesco e inquietante, pienamente nelle corde dell’autore e del suo cinema sperimentale. La genesi e il restauro del film sono spiegati scientificamente da Gomarasca e Pulici nel booklet allegato al lussuoso cofanetto della Midnight Classics dedicato a Romero, grazie al quale l’opera inedita è distribuita per la prima volta in Italia. Il mediometraggio è l’unico lavoro su commissione dell’intera e illustre carriera di Romero – un indipendente duro e puro – il quale fu incaricato da una società Luterana di girare una sorta di documentario educativo sulla difficile condizione degli anziani, considerati improduttivi e dunque emarginati. Ma, da genio qual era, il regista fece le cose a modo suo, girando un film alieno e composito che va oltre gli intenti didattici: un dramma, una commedia amara e satirica, un thriller surreale e polanskiano, persino un horror in certi momenti. Una condizione anarchica e sperimentale che – insieme alla durata ridotta – ne rese difficile la distribuzione: presentato per la prima volta a New York nel 1975, lo si vide in seguito solo in alcuni festival (anche al Torino Film Festival, nel 2001), ma per anni fu considerato perduto, o meglio “messo da parte”. Un film finito dunque in una specie di limbo, un oggetto mitologico di cui tutti parlavano ma che nessuno sapeva cosa fosse veramente, fino al restauro in 4K di due anni fa. Scritto da Walton Cook, ha come protagonista il vecchio attore Lincoln Maazel nei panni di sé stesso, e al contempo trasfigurazione di un personaggio immaginario all’interno di una storia che si muove costantemente tra la realtà e il surreale, come se ci trovassimo all’interno di un grande incubo. Dopo una presentazione in cui si rivolge agli spettatori spiegando lo scopo educativo del film, lo vediamo entrare in una stanza completamente bianca e abbacinante dove c’è un altro Maazel ferito e scioccato, che lo invita a non andare fuori.
Disobbedendo al suo doppelgänger, il protagonista apre la porta e si ritrova in un parco divertimenti (l’Amusement Park del titolo) dove vivrà una serie di disavventure assurde. Il parco è popolato da giovani e anziani, i quali sono però relegati come oggetti vecchi, visti con diffidenza e spregio malcelato: dopo varie vicissitudini, sarà pestato a sangue da tre motociclisti che giungono insieme alla Morte, scambiato per un pedofilo e un fenomeno da baraccone, poi abbandonato da tutti, fino a tornare disperato nella stanza bianca dell’inizio, dove è destinato a incontrare di nuovo il suo doppio in un loop infinito. Una situazione molto simile – quella dei doppi che tornano in una spirale senza fine – la troviamo ne L’inquilino del terzo piano, del 1976 (per questo si parlava di atmosfera polanskiana): una semplice coincidenza o una vera influenza di Romero su Polanski? Difficile a dirsi, ma l’ipotesi è quanto meno affascinante. L’anziano Lincoln Maazel – che troveremo anche in Martin – è l’unico attore professionista in mezzo a comparse e persone comuni, ed è vestito in un abito elegante e interamente bianco, come la stanza dove inizia e finisce la storia, una sorta di Aldilà, un limbo raffigurante il Nulla. Come ha fatto con la trilogia degli zombi (e con molti altri film), Romero utilizza il genere come metafora di qualcos’altro: con The Amusement Park, l’autore mette effettivamente alla berlina la condizione emarginata degli anziani (ciò che gli era stato commissionato) – realizzando un apologo sulla società dei consumi dove chi non produce va messo da parte – ma lo fa in un modo tutto suo, come in uno specchio deformante, con una regia personale, una narrazione visionaria e un uso sperimentale delle inquadrature e del montaggio, come aveva fatto ne La notte dei morti viventi.
Il risultato è un unicum grottesco, allucinato e angosciante, tutto narrato dalla prospettiva di Maazel, che si trova a vivere avventure sempre più bizzarre e kafkiane fino a precipitare in una spirale di terrore e confusione mentale. Sono in particolare gli anziani a finire sotto la lente d’ingrandimento: troviamo così giostre dove si può salire solo in base al reddito (la disparità sociale è una costante), autoscontri in cui serve la patente e fioccano multe, un misero pranzo opposto al banchetto di un ricco (una scena resa attraverso toni da slapstick comedy), centri di riabilitazione, una sinistra cartomante che legge il futuro a due giovani, mentre la Morte – un orribile figuro con la falce – compare di frequente, fino alla scena clou dei motociclisti. Quando cioè Maazel si ritrova improvvisamente nel parco deserto e viene pestato a sangue da tre uomini in moto, simili a quelli che torneranno in Zombi e Knightriders, per poi ripiombare improvvisamente nel caos della folla. Girato in low-budget e in 16mm nel vero luna park di West View Park a Pittsburgh, oggi dismesso, The Amusement Park è una perla nascosta nella filmografia di Romero, ma estremamente coerente con la sua poetica e assolutamente da riscoprire.