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The Animal Kingdom

2023
Titolo Originale:
Le Règne animal
REGIA:
Thomas Cailley
CAST:
Romain Duris (François)
Paul Kircher (Émile)
Adèle Exarchopoulos (Julia)

Il nostro giudizio

The Animal Kingdom è un film del 2023, diretto da Thomas Cailley.

Siamo in un futuro prossimo. C’è una macchina con dentro un padre, un figlio e un cane. Si trova in un ingorgo nel traffico: all’improvviso grida terribili si levano dall’ambulanza vicina, subito dopo esce una creatura ibrida a metà tra uomo e uccello. Padre e figlio non si stupiscono. È un notevole inizio in fieri quello di The Animal Kingdom, nel senso che – continuando in latino – coglie le cose in medias res, nel corso del loro svolgimento, senza spiegare cosa sta succedendo e cosa stiamo vedendo. Questo innesco radicalmente anti-didattico è il primo punto a favore del film di Thomas Cailley, presentato al Festival di Cannes 2023 e dal 13 giugno in sala distribuito da I Wonder. Poi la situazione viene chiarita: è in atto una misteriosa “malattia” che trasforma gli uomini e le donne in animali, creando incroci tra specie fino ad assumere gradualmente una forma totalmente bestiale. Una pandemia di “animalismo”. In quel momento il padre François (Romain Duris) in compagnia del figlio Émile (Paul Kircher) si sta recando in visita a una delle vittime del morbo, la moglie, che viene detenuta in un istituto perché in fase di mutamento. È una dottoressa a illustrare i fatti e quindi porre le regole del gioco del film.

Questo il punto di partenza di un racconto che si sviluppa per oltre due ore mescolando i registri, all’insegna del pastiche. La donna-animale fugge dal centro in cui è costretta e si rifugia in un bosco, ambiente che più si addice alla forma ferina. Da parte sua, l’adolescente Émile accusa segretamente i primi segnali di “malattia” e li nasconde, occultando il distacco delle unghie umane in una sequenza esplicita. Il papà François prova ad attenersi al dettato statale, alle regole sanitarie in attesa di una cura che nella retorica pubblica dovrebbe arrivare presto; allo stesso tempo, davanti alla metamorfosi dell’amata, sembra sviluppare una sorta di prossimità con gli infetti, come una donna pesce scovata nel reparto frigorifero di un supermercato. Un’alleata può essere l’agente di polizia Julia (Adèle Exarchopoulos), in grado di pensare con la sua testa, che non esegue meccanicamente il compitino governativo. Intanto Émile, mentre tenta una vita normale a scuola, incontra l’uomo uccello Fix (Tom Mercier) che si trova in transizione, ha già le ali ma non sa volare, la voce umana sta slittando verso il fischio volatile. A lui chiederà consigli su come affrontare la nuova forma in una sorta di iniziazione per entrambi. Tutti i personaggi convogliano dunque nella foresta, la selva oscura ma anche rivelatrice, il luogo in cui mostrare la vera natura.

Scritto prima del Covid, ma ricordandolo da vicino, The Animal Kingdom si presenta come proposta peculiare e originale nel cinema oggi. Prima di tutto, torna sull’annosa questione del rapporto tra autore e genere: se Thomas Cailley si muove nell’alveo dell’autorialismo francese, l’adozione di elementi fantastici e horror costruisce una mescola a suo modo inedita. I mutanti non sono gli X-Men, per capirci, ma persone normali calate in un contesto realistico, dove è proprio la “malattia” l’unico segnale che mette in dubbio la realtà e la rende fantastica. Per il resto, potrebbe essere il consueto film francese sul rapporto tra padre e figlio, col coming of age del ragazzo e il dramma della madre malata. Il doppio binario da una parte permette di mantenere le caratteristiche storiche di quella filmografia, dalla scrittura intimista fatta di rovelli interiori alle ottime interpretazioni, e dall’altra apre il vaso del genere: tutte le sequenze con l’irruzione degli ibridi sono ben dirette, sorprendenti e disturbanti. Il discorso è ambizioso: così facendo si vuole ridurre il divario tra uomo e animale, arrivando perfino all’antispecismo o meglio all’“intraspecismo”, cioè a rappresentare la nascita di una specie diversa e meticcia che non è certo inferiore all’umana. Un film che piacerebbe a Ursula K. Le Guin. A tratti c’è troppa carne al fuoco, come forse inevitabile con una materia tanto densa e stratificata, ma alla fine viene diffuso un messaggio estremo e quasi provocatorio: l’uomo può arrendersi felicemente alla propria essenza bestiale.