Featured Image

The Apprentice

2024
REGIA:
Ali Abbasi
CAST:
Sebastian Stan (Donald Trump)
Jeremy Strong (Roy Cohn)
Maria Bakalova (Ivana Trump)

Il nostro giudizio

The Apprentice – Alle origini di Trump è un film del 2024 diretto da Ali Abbasi.

Che Ali Abbasi sia un regista coraggioso, ce lo aveva dimostrato già nel 2022 con Holy Spider. Il regista iraniano/danese torna in sala giusto in tempo per le presidenziali USA del 2024, con The Apprentice – Alle origini di Trump, il suo primo film in lingua inglese sul controverso e chiacchieratissimo Donald Trump. The Apprentice racconta l’ascesa del giovanissimo Donald John Trump (Sebastian Stan) nel mondo dell’edilizia di Manhattan, fra l’inizio degli anni settanta e la metà degli anni ottanta, attorniato da due figure chiave in questa sua ascesa: Roy Cohn (Jeremy Strong), braccio destro del senatore repubblicano Joseph McCarthy e avvocato/fixer politico dopo, e la prima moglie dell’ex presidente Ivana Zelníčková (Maria Bakalova). Il film di Abbasi è coraggioso non tanto per quello che vuole raccontare, ma nelle intenzioni – definite ‘punk’ dal regista – e nel modo in cui racconta i primi passi di Trump nel mondo imprenditoriale: cannibalico, ossessionato dal successo, dal sogno americano e dallo yuppismo tipicamente 80’s. Non a caso Abbasi sceglie una fotografia quasi televisiva, a metà tra soap opera e Taxi Driver.

È proprio in questa New York, sporca, devastata, spaccata e ferita, che si muove il giovanissimo Donald, che invece sogna di trasformare la città, di ignorare la povertà e la sua peste (l’AIDS pian piano inizia a farsi strada, sempre più insidiosa nel tessuto urbano e non solo). Le tre regole di Cohn, spietato arrivista, che proprio per i suoi metodi non proprio ortodossi verrà radiato nel 1986 per “condotta non etica”, diventano la bibbia del timido e goffo Donald: “Attacca! Attacca! Attacca”, “Nega tutto, non ammettere nulla”, “Dichiara sempre vittoria. La verità è solo quella che dici tu”. Forse, più che su Trump, è proprio su Cohn che Abbasi si focalizza meglio, restituendo un ritratto desolante, quanto illuminante, su un uomo che disprezza gli omosessuali essendolo lui stesso, che raggiunge la notorietà attraverso favori e ricatti, e che vede nel potere e nel controllo l’essenza del successo. Le sue tre regole diventano il manifesto di Trump, quelle su cui fondare tutto il suo personaggio, pubblico e privato.

Quello di Abbasi però è un ritratto approssimativo, che non restituisce quasi nulla allo spettatore – nulla di quello che sappiamo già, o pensiamo di sapere – ma si limita attraverso scorci di vita e di storie (lo stupro di Ivana, poi smentito dalla stessa, la morte del fratello Fred Jr, alcolizzato e depresso) che seppure aiutano alla nascita del mostro Trump, sembrano non bastare a tracciare un ritratto definitivo e completo del personaggio nella sua spregiudicatezza e mania di grandezza. The Apprentice è un film lodevole e punk nelle intenzioni, ma che finisce tutto sommato solo per intrattenere, attraverso gli stilemi del genere, le hit pop dell’epoca (l’orgia a casa di Cohn, con Ghost Rider dei Suicide in sottofondo, rimane tra le sequenze più memorabili) ma che ti lascia con l’amaro in bocca, quasi un’occasione sprecata. Ci si augura solo che serva da monito per gli americani, dove il film ha faticato non poco a trovare una distribuzione, e che il passato non sia di nuovo il nostro presente, un presente però che sembra lo spettro del passato descritto da Abbasi: cupo, narcisista, infinitamente vuoto.