The Dark and the Wicked
2020
The Dark and the Wicked è un film del 2020, diretto da
È dal lontano 2008 che Bryan Bertino lotta per ritagliarsi un angolino nel pantheon degli autori to watch del panorama statunitense. A cementare l’exploit di un debutto semi-cult come The Strangers ci vorrebbero in effetti una serie di successoni che nella carriera dell’americano devono ancora palesarsi. A 12 anni dal film di debutto (secondo chi scrive più un efficace esercizio di maniera), il processo si può comunque definire a buon punto, se non altro per la fascia sempre più folta degli aficionados dell’horror indipendente. La calorosa accoglienza con cui la sua ultima fatica è stata ricevuta, d’altronde, prova di una indubbia capacità nel parlare il linguaggio del cinema di genere: a prescindere da qualsiasi osservazione critica riguardante questo The Dark and the Wicked, rilasciato a inizio mese sulle piattaforme digitali, l’attuale status autoriale del regista americano rappresenta già di per sé una sorta di punto d’arrivo. Dicono bene quelli che hanno ascritto il film di Bertino nel filone del nuovo horror parentale (Aster, Eggers e Lanthimos docet), con cui lo script terso e angoscioso di The Dark and the Wicked ha più di un punto di contatto.
La preda di questa sorta di eserciziario di disfacimento emozionale è il nucleo formato dai fratelli Louise e Michael, richiamati nella fattoria di famiglia ad assistere un padre in fin di vita e una madre psicologicamente instabile, forse oppressa degli schemi di un’oscura entità soprannaturale. Che lo snodo iniziale sia legato allo srotolamento dei legami familiari è quindi limpido nell’immediato. Resta da vedere che cosa abbia effettivamente da dire a riguardo Bertino, che non si è certo costruito una carriera a forza di film ricchi in termini di contenuto (seppure fosse evidente nel precedente The Monster qualche accenno light al family drama). La risposta è più scura che mai. Comincia disperato, The Dark and the Wicked, e finisce ancora più disperato di prima. Non è una caduta dal paradiso, quella dei due protagonisti: è l’esplorazione di un girone infernale, costellato di apparizioni e figure spettrali, con un paio di momenti di impressionante violenza fisica. E oltre a questa esasperata oscurità? Poco altro, a conti fatti.
C’è l’atmosfera opprimente e petrolifera, quella sì in abbondanza, che rimane appiccicata sulla pelle: si esce dal film con addosso una sensazione particolarmente spiacevole di sporcizia, cosparsi del marasma di cinismo orrorifico a cui si è stati sottoposti. Il cinema più nichilista, però, funziona soprattutto perché finisce con l’annidarsi sotto la superficie. Spiace constatare che, in questo caso, sottopelle non resta granché. È colpa proprio dell’eccesso di tristume e di nichilismo emozionale, dove finisce per affogare qualsiasi possibilità di sviluppo e di approfondimento caratteriale. Fanno quello che possono i due attori protagonisti (la discreta Marin Ireland in primis) per dare spessore umano alla vicenda, ma la soglia del coinvolgimento emozionale non sembra voler cedere. Viene da pensare che un film debba potersi spingere fin dove esso voglia, e questo è sacrosanto: The Dark and the Wicked, d’altra parte, è la dimostrazione che a volte di orrore e brutalità è bene anche sapersene privare. Lighten up, Bryan, che per far vedere il buio c’è bisogno anche di un po’ di luce.