The Girl with the Needle
2024
The Girl with the Needle è un film del 2024, diretto da Magnus von Horn.
Si apre con un morphing di volti, che si contorcono e si sciolgono nel dolore in un elegantissimo bianco e nero espressionista, il terzo film di Magnus von Horn presentato in concorso alla 77ª edizione del Festival di Cannes. La sequenza iniziale, allucinata nel mostrare facce e anime del film, quasi baconiana, è un po’ la chiave di lettura di questo lavoro del regista polacco-danese, perché The Girl with the Needle è un film sulle deformità: quelle reali e tangibili della carne e quelle impercettibili, che sfregiano l’anima.
Nella Copenaghen del primo dopoguerra, Karoline (Victoria Carmen Sonne), una giovane operaia che lavora in una fabbrica che produce divise militari, viene sedotta e abbandonata dal suo capo, incinta e poi senza lavoro, costretta a disfarsi del bambino. Le cose si complicano anche di più, quando Peter, suo marito che dava per morto, torna dalla guerra con il volto sfigurato e una maschera che ridisegna malamente il suo volto di prima. In un bagno turco, Karoline incontra Dagmar (Trine Dyrholm, già superba nel biopic Nico 1988 di Susanna Nicchiarelli), una donna che gestisce un’agenzia di adozioni clandestina all’interno di un negozio di dolci, dove aiuta le madri povere a trovare case affidatarie per i loro figli. Se le premesse sembrano alludere a una fiaba quasi dickensiana, in realtà l’orrore è dietro l’angolo, e tinge di nero il film di von Horn fin dalle prime immagini. Il suo precedente Sweat, selezionato nell’edizione del Festival di Cannes del 2020, poi annullata in presenza a causa del Covid, scavava nella vita di una famosa influencer, rivelando ombre e incertezze di una personalità dorata solo in apparenza; in The Girl with the Needle si concentra su più figure femminili, Karoline e Dagmar, sinistramente simili nella loro disperata ricerca di verità e riscatto.
Basato su una storia realmente accaduta, quella di Dagmar Johanne Amalie Overbye, che tra il 1913 e il 1920 uccise quasi 25 bambini, prima di essere condannata e morire in cella a 42 anni, il film di Magnus von Horn è una fiaba gotica sulle atrocità della vita e sui lati oscuri della maternità. Un circo di donne sole e vulnerabili, dove la nascita di un bambino non è una festa, ma l’inizio di una tortura interiore che sfocia presto nella follia. Quello di von Horn è un mondo crudele e contagioso: il male è solo uno dei tanti risvolti possibili di una società meschina che non lascia spazio a commiserazioni. Non è un caso che il regista danese mostri spesso un circo di freaks: un’allegoria della realtà disperata e senza vie di fuga, immersa sempre più in un bianco e nero denso come una fogna putrida. Dopo un inizio in sordina, con il deludente Le Deuxième Acte di Quentin Dupieux, Cannes torna finalmente a osare e sconvolgere con una fiaba gotica tutt’altro che consolatoria. Una fiaba dove “il mondo è un posto orribile, ma dobbiamo credere che non sia così”. E noi ci crediamo.